Già nel 2011, alla domanda se la preparazione mentale fosse la chiave di volta del grande successo di quella stagione, Novak Djokovic rispondeva: “Sì, direi che si tratta probabilmente della stabilità mentale che ho adesso. Non ne avevo molta un anno e mezzo, due anni fa. Le emozioni sono dappertutto, ma sento che posso rientrare nella partita più velocemente e facilmente di quanto facessi prima”.
Con la stessa stabilità mentale, domenica 14 luglio a Wimbledon Novak Djokovic detto Nole, appena vinta una fra le finali più belle di sempre, è rimasto impassibile. Ha abbassato la testa, incamminandosi verso la rete per stringere la mano allo sconfitto Roger Federer.
Tutto in linea con l’ormai celebre teoria del “terzo incomodo”: Djokovic da anni si sente l’intruso tra il Re svizzero e il guerriero Nadal. Quando vince, si scusa per il disturbo. È come se dicesse al mondo: “Perdonatemi se ho sporcato la favola”.
Ma nelle dichiarazioni che ha rilasciato dopo la premiazione, in sala stampa, si è capito che Nole sta lavorando in maniera molto seria sulla propria identità, con l’obiettivo di uscire da quel vicolo cielo, da quell’auto-immagine di brutto anatroccolo. “Non ho celebrato molto in campo alla fine della partita, perché è stato soprattutto un enorme sollievo. Ma questi successi sono quelli che danno un senso a ogni minuto speso in campo ad allenarsi e prepararsi”.
Purtroppo per chi lo pratica, il tennis è uno degli sport più duri da reggere perché gli atleti sono continuamente immersi in situazioni di gioco mutevoli, complesse e imprevedibili. Puoi essere super allenato fisicamente e pronto a correre sotto il sole per oltre cinque ore. Puoi essere super preparato tecnicamente e disporre del miglior rovescio a una mano dell’intera galassia. Puoi addirittura aver incamerato decine e decine di variabili tattiche, necessarie a fronteggiare le strategie del tuo nemico. Ma se non sei “perfetto” mentalmente, se non hai in ogni istante del match la capacità di restare focalizzato e di dialogare con la tua mente in modo produttivo, puoi saltare in aria in un secondo, come un palloncino alle feste dei bambini.
Per questo Djokovic ha continuato di fronte ai giornalisti dicendo di sapere che doveva stare calmo. “Era necessario controllare le mie emozioni, sapevo come sarebbe stato l’ambiente visto che giocavo contro Roger, me l’ero immaginato prima nella mia testa, l’avevo visualizzato in anticipo. Sapevo anche come avrebbe reagito il pubblico. Avere gli spettatori dalla tua parte aiuta, ma se non è così devi trovare il modo di superare la difficoltà. Quando la folla gridava ‘Roger‘ io sentivo ‘Novak‘. È allenamento mentale… e poi Roger e Novak sono simili!”
Per reggere a quei ritmi (a 38 e 32 anni) occorre un’attenzione, una capacità di concentrazione fuori dalla norma. Intorno la gente grida di tutto, chi a favore dell’uno, chi dell’altro. Come ha scritto oggi Ubaldo Scanagatta, decano del giornalismo tennistico, “Non è colpa di Novak Djokovic se Roger Federer e Rafa Nadal sono diventati fenomeni prima di lui. Finché loro giocheranno lui è destinato a essere il meno popolare, il meno amato. Anche se lui ne soffre, farebbe qualsiasi cosa, e la fa, per procurarsi la simpatia e il sostegno della gente […] Lui non ha il tennis vario, elegante, imprevedibile come quello classico, fine, aristocratico di Roger Federer, non ha quegli strappi poderosi mancini, brutal, fenomenal, animal di Rafa Nadal. Eppure io non mi sorprenderei per nulla se alla fine Novak superasse entrambi gli altri due rivali nel conto degli Slam”.
Ma è sulla questione mentale che l’esperto giornalista punta giustamente l’attenzione: “Il talento di Djokovic non si può davvero discutere. Ma la dote più eccezionale è la sua incredibile forza mentale!”
Sentite ancora lo stesso Nole. “Contro Federer ho provato a giocare il match prima di entrare in campo, di immaginarmi vincitore, penso mi abbia aiutato. Ci sono energie che non vengono solo dal tuo corpo, ma anche dalla tua mente e dalla tua essenza. Per me è sempre una lotta interiore, oggi ho cercato di chiudere fuori di me tutto ciò che mi succedeva intorno. In alcune fasi ho cercato di lottare. Il coraggio deriva dal potere della visualizzazione che si può fare prima. Ho provato a costruirmi lo scenario in cui io potevo essere il vincente“.
Anche in quello probabilmente il tennista serbo ha preso spunto dal Re svizzero. Proprio Federer qualche anno fa dichiarava che “Lavorare sull’aspetto mentale è stato davvero difficile per me. Poi ho trovato anche la continuità: una delle chiavi del mio rendimento è l’aver introdotto nella mia normale attività di allenamento un programma di mental imagery. Visualizzo me stesso mentre raggiungo la vittoria utilizzando immagini vivide, emozionali e potenti che rappresentano ogni azione della mia partita…. Rinforzo queste immagini positive con la visualizzazione di vittorie del passato, ritrovando le sensazioni che avevo provato in quelle occasioni”. Sport mental coaching allo stato puro.
Al termine della conferenza stampa, Djokovic ha parlato dell’avversario. “Contro Federer sull’erba è difficilissimo perché lui sta attaccato alla linea di fondo e anticipa tutto, qualsiasi palla a qualsiasi velocità. È così talentuoso in questo tipo di tennis. Giocare contro Roger significa essere costantemente sotto pressione. Mi chiedete come ho fatto a non crollare in occasione dei due match point in favore di Roger? La stabilità mentale mi ha salvato, mi ha permesso di rimontare e vincere. Mentalmente è stato il match più duro che ho giocato nella mia carriera. Più duro di quello contro Nadal in Australia. Quello più fisico, questo più mentale”.
Lo scrittore David Foster Wallace disse che “Roger Federer è un’esperienza religiosa”. Ma Novak Djokovic detto Nole, grazie a requisiti mentali come volontà, resistenza e freddezza, ha portato a casa la quarta vittoria a Wimbledon negli ultimi sei anni. E scusate se ha sporcato la favola.