È nata a Caracas, ha scelto la Spagna, ha vinto Parigi e Wimbledon. Garbine Muguruza torna agli Internazionali di Roma e spiega che non è solo una questione di muscoli e di talento, di come si impara a colpire una pallina o si maneggia la racchetta.
In un’intervista rilasciata a Giorgia Mecca per il “Venerdì di Repubblica”, la tennista venezuelana (24 anni) sostiene che la disciplina non basta quasi mai, la dedizione nemmeno. “È il modo in cui mangi e dormi – dice la Muguruza – in cui pensi e respiri ogni giorno a fare di te una giocatrice”.
Dichiarazioni interessanti per una tennista che quando scende in campo non mostra soltanto “muscoli e distintivo”, ma usa la testa in maniera speciale. Un bell’assist anche per i mental coach e per tutti quegli atleti che credono fermamente nel potere della mente. Sentite ancora Garbine: “Sto imparando a convivere con l’idea che si può anche perdere. A distanza di anni le sconfitte bruciano ancora, ma fanno meno male. Quando ero più giovane, mi rimanevano addosso per giorni, un’ossessione, come un tatuaggio sulla pelle. Ovunque posassi lo sguardo, vedevo solo quello. Oggi no”.
Maledetto focus mentale, che quando non viene tenuto a bada riesce ad annebbiare la nostra lucidità e rendere vane ore e ore di allenamento. “A cosa serve provare e riprovare duemila rovesci per tre ore al giorno, tutti i giorni? Noi professionisti – spiega Muguruza – non ragioniamo in questo modo. Dietro ogni colpo ripetuto fino alla nausea, c’è sempre un obiettivo. So cosa sto facendo e il perché continuo a farlo”.
Prima di lei, nessuna donna era riuscita a battere le due sorelle Williams (Roland Garros nel 2016 e Wimbledon nel 2017): “Giocare e vincere contro di loro è stato un valore aggiunto, una conferma: significava che stavo facendo la cosa giusta, che mi meritavo di stare in quel campo”.
Sentire di fare la cosa giusta, di essere nel posto giusto, al momento giusto della propria storia. Nel tennis accade: ci sono delle annate in cui percepisci nella mente (e nel cuore) che tutto sta andando per il meglio, che i colpi partono da soli, che la fatica non si fa sentire perché la testa viaggia ai duemila all’ora e ci rende praticamente invincibili.
Il tennis, più di altri sport, è una disciplina dove il cervello gioca un ruolo davvero “super”, visto che il cronometro non scorre e l’avversario non scappa via come al Giro d’Italia. Tu puoi restare in partita fino all’ultimo, puoi sperare di tornare a casa vincitore anche quando stai perdendo 0/6 0/6 0/5 0-40. Potresti bere la pozione magica e invertire tutto completamente, o assistere al tuo avversario che abbandona il campo per infortunio a un solo punto di distanza dal match-ball in suo favore.
A Garbine lo sport ha rubato l’infanzia, succede ai predestinati. I suoi genitori volevano che tra i loro tre figli ci fosse almeno un campione di tennis. Prima ci hanno provato i fratelli più grandi, poi è arrivata lei. “Ero l’ultima speranza di realizzare il sogno di famiglia!” ammette. Aspettative, pressioni, bisogni da soddisfare. Un carico di stati d’animo da far tremare i polsi. “Nel tennis si ricomincia sempre da zero: le vittorie non liberano dal male, non diminuiscono la pressione che ci si sente addosso quando si scende in campo”.
Lunga vita ai mental coach, verrebbe da dire. Proprio perché gli atleti – alle prese con mille tipologie di allenamento tecnico e fisico – non sempre riescono a star dietro agli aspetti psicologici. Spiega la Muguruza: “La verità è che la fame non passa. Quando vinci una volta, vuoi vincere ancora. È la testa che comanda, che crea aspettative, paura di fallire. Il problema è quel piccolo peso nello stomaco che entra in campo con me e a volte gioca al posto mio. Bisogna convivere anche con questo”.