
In queste settimane di Wimbledon, i tennisti in erba dovrebbero osservare tutto ciò che fanno i grandi tennisti sull’erba. Sembra un gioco di parole ma non lo è per nulla. Non perdersi neanche una battuta di quello che avviene sul Center Court – il campo principale dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, dove si svolge annualmente il Torneo di Wimbledon – dovrebbe essere la regola di tutti i ragazzi che stanno crescendo a pane e racchetta, e che tramite lo studio dei comportamenti e dei gesti tecnici dei loro divi, possono acquisire informazioni e strategie mentali utili da replicare nel training quotidiano.
Insieme alle imprese dei vari Federer e Djokovic (e dei nostri Lorenzi, Fognini e Giorgi), a Londra è rimbalzata l’eco della polemica a distanza tra John McEnroe e Serena Williams, laddove l’ex campione americano (oggi commentatore tv) avrebbe definito la sua connazionale “la miglior tennista della storia, anche se sarebbe intorno alla 700ª posizione della classifica mondiale se disputasse il circuito maschile”.
Non pago di questa frase non proprio elegante, McEnroe ha aggiunto: “Questo non significa che io non consideri Serena una giocatrice straordinaria: anzi al contrario penso che possa in un singolo match possa battere numerosi tennisti professionisti, perché dispone di un’incredibile forza mentale. Se dovesse giocare tutti i giorni nel circuito Atp però sarebbe tutta un’altra storia”.
Colei che dispone di un’incredibile forza mentale gli ha risposto in maniera secca: “Caro John – si legge sul suo profilo Twitter – ti adoro e ti rispetto ma ti prego di tenermi fuori dalle tue dichiarazioni che non sono basate su nulla di concreto. Non ho mai giocato con alcun classificato né ho il tempo per farlo. Rispetta me e la mia privacy visto che sto aspettando un bambino. Buona giornata”.
A interessarci, per questo blog, non è solo l’aspetto della “forza mentale” della Williams. Ma le credenze che girano nello sport in merito alla differenza tra le performance maschili e quelle femminili. È così vero che Serena – con tutto quel repertorio di colpi, di gesti atletici e di carattere da far invidia a un pitbull – in una classifica unificata, avrebbe addirittura 700 atleti maschi davanti a lei?
Ecco perché, sempre in queste ore, ci siamo ritagliati un altro articolo che riguarda la campionessa dell’anti-conformismo tennistico: ovvero, quella Martina Navratilova vincitrice di 18 titoli del Grande Slam, che non ha avuto timore di sfidare le regole della Cortina di Ferro e diventare cittadina americana, così come non ha battuto ciglio nell’annunciare la sua omosessualità (in tempi, all’inizio degli anni Ottanta, dove fare outing era difficilissimo!).
Martina è un’atleta che ha sbriciolato le credenze dell’opinione pubblica su temi forti come l’uguaglianza di genere, i diritti omosex e la parità tra tennisti e tenniste. “Dateci gli stessi premi dei maschi..!!” ha detto alla stampa quando le è stato chiesto un parere sulle parole di John McEnroe. Come per dire: la sfida la raccogliamo, ma non gratuitamente. La Navratilova crede nella forza mentale delle donne a prescindere: “Quelle di colore, in particolare, sono più forti perché devono superare ostacoli infinitamente superiori ai nostri. La Williams da mamma tornerà forte come prima e vincerà ancora”.
Dal punto di vista del mental coaching, qui torna utile una strategia mentale che possiamo ribattezzare come “Sfida al sistema”. Dove per sistema ovviamente dobbiamo comprendere i media che raccontano il tennis, gli organizzatori dei tornei che guardano al proprio tornaconto economico, ma anche gli allenatori stessi che, senza volerlo, possono fare delle preferenze discriminatorie nel loro approccio all’allenamento quotidiano.
Ci sono stati anni (che gli appassionati over 50 ricorderanno con estrema emozione) dove le tenniste a Wimbledon si chiamavano Chris Evert, Martina Navratilova, Steffi Graff, Monica Seles, Jana Novotna. Anni in cui il tennis non era ancora così prepotentemente fisico, e dunque studiare a fondo queste campionesse serviva concretamente a modellare i propri colpi sulla base di una fisiologia “umana” (come direbbe il compianto Fantozzi). Di fatto, esprimevano un tennis (diritto, servizio, rovescio, volée) ancora di questo pianeta.
Oggi che tutto si è appiattito sulla potenza muscolare, sulla velocità di palla (le famose e perfide smorzate sono praticamente scomparse), è molto più difficile estrapolare le strategie mentali delle campionesse! Quando a scendere in campo erano regine dello stile come Chris Evert, Aranchita Sanchez o Gabriela Sabatini, noi comuni mortali potevamo replicarne qualche gesto tecnico all’interno del nostro circolo. Ora è impossibile!
La sfida al sistema va accolta da tutti, non solo dalle giovani tenniste. Chi sta intorno a raccontare, giudicare, allenare, dovrebbe concedere la stessa opportunità alle ragazze di mettere in pratica ciò che sanno fare, senza resistenze mentali o credenze separatorie. Vogliamo far giocare alle donne 3 set su 5? Creiamo un percorso per arrivarci a gradi, ma senza snaturarne la creatività femminile, che va invece coltivata, gestita e valorizzata, sia dagli allenatori che dai mental coach.
Il giornalista sportivo Jonathan Scott propone infine un modello unico, sia per gli uomini che per le donne, diverso da quelli esistenti: “Giocare le partite dei tornei del Grande Slam fino agli ottavi di finale con la formula del due su tre e dai quarti di finale in poi con quella del tre su cinque”. Una soluzione che metterebbe d’accordo giocatori, organizzatori, televisioni e spettatori. Anche perché le partite più belle si vedono da una certa fase del torneo in poi. E sono quelle più seguite!