“Borg McEnroe” è l’interessantissimo film che affrontiamo oggi per la rubrica “Visto da un Coach”, dove parliamo di libri e di film che meritano approfondimenti in questo senso. Per scrivere quest’articolo ho raccolto la testimonianza di Lorenzo Marconi, amministratore e docente di ISMCI, oltre che Performance Coach di molti atleti di diverse discipline sportive.
Quanto sarebbe stato emozionante essere il mental coach di Bjorn Borg o di John McEnroe. O poter volare (come la cosiddetta mosca) per scoprire il dietro le quinte, la zona d’ombra che faceva da contrasto ai riflettori della popolarità.
Da quello che si sa (e da come emerge nel film in uscita nelle sale italiane il 9 novembre) è probabile che avremmo scoperto due esseri umani un po’ diversi da come apparivano all’interno del rettangolo di gioco. Chi li ha frequentati anche fuori dal campo – nella vita di tutti i giorni, durante gli allenamenti, nel rapporto con i loro allenatori – racconta come Borg in realtà fosse estroverso e festaiolo, amante delle donne e dei divertimenti alcolici, mentre McEnroe era il ragazzo della buona borghesia americana, con un padre avvocato che lo seguiva ovunque.
Ci interessa in questo blog approfondire il motivo per cui questi due fenomeni della racchetta abbiano avuto un successo e una popolarità che andava ben oltre le loro performance tennistiche. Di fatto, erano due archetipi della psicologia applicata allo sport, due modelli del mondo che si fronteggiavano per affermare un predominio che era insieme agonistico, geografico e caratteriale.
Come scrive Eugenio Bruno sul Sole24Ore, rappresentavano “due modalità diverse di approcciare l’esistenza. A dimostrazione di come la strada che porti alla riuscita, nello sport come nella vita, non sia unica. Laddove è unica la necessità di passare necessariamente attraverso la resa dei conti con se stessi. E valicare la propria linea d’ombra che non è solo anagrafica, ma anche caratteriale, personale, professionale”.
Ce n’è insomma per scrivere saggi sul coaching sportivo, non solo per girare un film! Borg e McEnroe era la rivalità perfetta. Uno giocava a tennis da fondo campo, con una rotazione del top spin che non si era mai vista e il rovescio a due mani. L’altro accarezzava la rete con le sue volée da mancino.
“Il primo – scrive Valerio Cappelli sul Corriere della Sera – aveva lunghi capelli biondi sistemati con una fascetta, le spalle larghe, le magliette attillate che facevano impazzire orde di ragazzine ed era un soldato imperturbabile sul campo; l’altro per i tabloid era «il moccioso» e aveva due avversari, l’altro giocatore e se stesso, sfasciava le racchette e insultava gli arbitri, cominciando da You cannot be serious, Non puoi dire sul serio, che è il titolo della sua autobiografia”.
Due modelli del mondo, appunto. Ripensandoci bene, era difficile trovare una persona appassionata di tennis (nata a cavallo tra gli anni ‘60 e i ‘70) che non abbia sognato di diventare almeno per un giorno uno dei due protagonisti. Il precisino maniaco e l’irascibile che superava le vette dell’irriverenza.
Ogni mental coach ha a che fare con atleti simili: alcuni che preferiscono tenersi tutto dentro, mentre altri che invece esternano ogni tipo di emozione. In fondo l’obiettivo è lo stesso: restare sempre concentrati sul “pezzo” in uno sport che è prima di testa che di braccio.
Questo film di Janus Metz va visto perché è una storia sul prezzo del successo, su quanto a volte sia necessario vincere per affermare la propria identità. Entrambi hanno lottato contro demoni interiori, hanno portato lo sforzo fisico e mentale a un’intensità così elevata da consumarli dentro. Borg ha abbandonato il tennis a soli 26 anni (26!) prigioniero della propria carriera. McEnroe, come lo svedese, ha vissuto la solitudine del campione, un percorso esistenziale che lo ha logorato. Bjorn era una rockstar, in allenamento era anche lui irascibile, ma in campo era una sfinge, sempre calmo, compassato, mai polemico, capace di gestire gli stati d’animo. John era impaziente, incentrava il suo gioco sul servizio potente (200 all’ora) e sulla discesa a rete per spezzare le trame avversarie.
Nel film, utile da vedere per chi segue atleti ma soprattutto per gli atleti stessi, si racconta tutto ciò che pesa sulle spalle dei giocatori prima di un evento così importante. La tensione, il confronto con le aspettative altrui, l’abilità di resistere alle pressioni mediatiche, la sfida con le proprie ambizioni. Solo chi riesce a gestire tutta questa maionese di emozioni, potrà scendere in campo leggero e misurarsi con l’avversario puntando solo sulla classe, sul talento. Caratteristiche che d’altronde girano a mille quando la testa ha già vinto in anticipo la sua partita.