
Intervista di Roberto Re a Mattia Casse, promessa dello sci azzurro, che da due stagioni lavora con Lorenzo Marconi, mental coach di Sport Power Mind.
È stata una chiusura di stagione in crescita quella di Mattia Casse, 29enne atleta delle Fiamme Oro, che pochi giorni fa sulle nevi di Cortina d’Ampezzo ha conquistato la medaglia d’argento nel Super Gigante ai Campionati Italiani di sci alpino. Alle spalle del vincitore Matteo Marsaglia, l’atleta piemontese di stanza a Bergamo ha ottenuto lo stesso tempo del campione del mondo Dominik Paris, sulla pista Vertigine che nel 2021 ospiterà i Mondiali.
Mattia Casse, accolto dal suo mental coach Lorenzo Marconi presso la redazione di Sport Power Mind, è stato intervistato da Roberto Re, performance coach di svariati atleti internazionali e campioni dello sci come Isolde Kostner, Max Blardone e Kristian Ghedina.
“In effetti – risponde Casse – la prima parte di stagione era andata a fasi alterne. Nelle gare in America e in Canada mi aspettavo qualcosa in più. Tornato in Europa, ho cambiato alcuni materiali e ho ripreso bene: a dicembre in Val Gardena sono andato a punti e da lì sono sempre entrato nei primi trenta, è cominciata la crescita”.
A gennaio 2019 Mattia ha vinto la discesa libera in coppa Europa a Wengen, mentre a febbraio ha conquistato un importante ottavo posto in super gigante ai campionati del mondo di Are, in Svezia.
“Sono molto soddisfatto di questo finale di stagione. Negli ultimi mesi ho migliorato i parziali, ho trovato regolarità, sia in discesa che in SuperG, che non è una cosa facile su entrambe le discipline”.
“In passato – riprende Roberto Re – ti eri caratterizzato come un atleta molto forte nelle prove, mentre in gara, dove si vivono mille pressioni a livello mentale, non riuscivi quasi mai a esprimere il tuo potenziale. Cos’è accaduto nella tua testa?”.
Casse, che in effetti nelle prove che precedono la gara si è più volte inserito tra i primi 10–15 al mondo, conferma: “È vero, specialmente in discesa ho migliorato molto le mie prestazioni in gara. Ho fatto, come si dice in termini mentali, uno switch: ora al momento di arrivare al cancelletto di partenza mi sento più riposato, più convinto. Non ho più quei cali fisici e mentali che avevo prima”.
“In questo balzo in avanti in termini di prestazione – domanda Re – immagino che, insieme a tutto il lavoro che fai con lo staff tecnico, parte del merito sia dovuto al programma di attività che stai svolgendo con Lorenzo Marconi, il mental coach di Sport Power Mind che ti segue da un paio di stagioni…”.
“Senz’altro è così” dice Mattia. “È da circa metà stagione 2017–18 che lavoro con Lorenzo. In quel periodo ero reduce da un infortunio, da dieci mesi ero fermo e volevo tornare alle gare nell’anno delle Olimpiadi. I primi mesi li abbiamo usati per conoscerci bene, per impostare il percorso. Abbiamo fatto un buon lavoro che è venuto fuori bene nelle ultime gare dell’anno scorso, nei primi mesi del 2018. Poi da giugno abbiamo iniziato a lavorare a testa bassa, siamo partiti con un programma da zero, non era più un’attività subentrata in corsa. Ho capito che il lavoro con un mental coach va pianificato nel medio–lungo periodo“.
Chiede Roberto: “Essere affiancato da un professionista che ti segue a livello mentale non è proprio una novità per te, giusto?”
“A livello mentale – spiega l’atleta delle Fiamme Oro – ho sempre fatto qualcosa da quando avevo 16 anni, ma senza continuità. Forse non lo facevo nel modo giusto, iniziavo in ritardo, dopo che i problemi erano già emersi. Nel 2018 ci ho pensato di più: dopo la mancata convocazione alle Olimpiadi, ho iniziato a farmi affiancare da Lorenzo Marconi. Questo è il primo anno che lavoro con una certa continuità, con energia e metodo. Benefici? Molti. Lui è un professionista, abbiamo un rapporto molto buono, mi conosce bene. C’è un buon feeling anche perché sappiamo entrambi dove vogliamo arrivare. È un lavoro di costruzione, l’obiettivo è che io sia consapevole che posso essere competitivo anche quando sono sotto pressione. Anche quando le cose non girano e ci sono dei cali. Ora riesco a dare tutto senza interferenze mentali, questo è stato il vero cambiamento”.
“Su cosa lavorate in concreto?” chiede Re.
“La sensazione – dice Mattia – è di aver messo a punto un mio metodo che mi aiuta a essere più competitivo, più forte. Diciamo che con Lorenzo abbiamo ricostruito tutto il mio percorso mentale, fatto di atteggiamenti, pensieri e convinzioni che erano fuori controllo. Magari alcuni erano anche corretti, ma non uscivano al momento giusto e nella sequenza giusta. Ora sono certo che continuando a lavorare su me stesso riuscirò ad arrivare a livelli alti, a raggiungere quei traguardi che un po’ tutti si aspettano, me compreso!”.
“La certezza di partecipare ai Mondiali in Svezia – continua Roberto Re – è arrivata dopo le prove della discesa di Garmisch… Quel risultato può essere stata la svolta della stagione?”.
“No, non direi… Più che una svolta lì a Garmisch ero soprattutto un po’ arrabbiato perché da tempo non riuscivo ad arrivare alle qualificazioni. Quest’anno stavo bene, ero in forma, sentivo di poter spingere un po’ di più. Già avevo sciato forte a Kitzbuel, mentre a Wengen dove non ero mai andato a punti ero contento del 20esimo posto. A Garmisch è andata molto bene, ho fatto due prove belle quasi senza errori, nonostante ci fosse una grandissima pressione. Anche se hanno annullato la libera per il maltempo, i tecnici azzurri hanno deciso di aggregarmi alla squadra per il Mondiale. È stata una grande soddisfazione”.
“Posso testimoniare – subentra nella conversazione Lorenzo Marconi – il fatto che Mattia quest’anno ha fatto davvero un gran lavoro. Ora la sua testa è più libera, ha meno interferenze e la sua sensibilità viene gestita in maniera differente rispetto a prima. C’è più leggerezza e voglia anche di divertirsi. D’altronde Casse è un campione e sa di esserlo. Così come sa bene che più si riempie la mente di pensieri e meno andrà forte in gara, come capita a tutti gli atleti”.
Interviene Re per chiedere a Marconi su quali aspetti abbiano lavorato insieme. “Molto lavoro è stato fatto per gestire il dialogo interno – conferma Lorenzo – Mattia, nonostante gli sciatori siano a volte un po’ testoni, ha imparato a mettersi in gioco, a fidarsi. Il fatto che l’inizio di stagione sia stato difficile, che i risultati non arrivassero, poteva sembrare una cosa brutta… Invece grazie al lavoro mentale Mattia non si è mai perso d’animo, era consapevole che il meglio sarebbe arrivato. E i buoni risultati alla fine hanno premiato la sua attesa”.
“È vero – aggiunge Casse – il vero click è arrivato quando ho iniziato a concentrarmi principalmente sul gesto tecnico, sulla prestazione. A eliminare i pensieri di contorno. Ho smesso di focalizzarmi solo sul risultato, perché era proprio quella tensione che mi generava l’ansia da prestazione, la paura di non farcela. Concentrarsi sul gesto tecnico aiuta a capire che il risultato è una conseguenza naturale. Mi diverto anche di più, mi godo la prestazione. Aggiungo anche che entrare nel gruppo dei primi trenta ti dà sicurezze diverse, è un lavoro sull’identità che ti fa stare più tranquillo. Piano piano puoi costruire un percorso fatto di piazzamenti. E così gli standard si alzano in attesa dei risultati più grandi”.
“Qualcuno – ironizza Marconi – ti ha definito come una bomba a mano a cui hanno tolto la sicura”.
“Beh – dice Mattia – c’è ancora molto da esplodere! Quando parti da dietro, col pettorale 40, se fai un’ottima gara puoi arrivare magari nei primi otto: ma capita di rado. Quando invece, come dicevo, parti già nei trenta più forti, sei più vicino all’eccellenza, anche mentalmente. Senti il profumo della vetta. Lavorare con un mental coach mi ha insegnato a leggere le diverse situazioni per essere poi al cento per cento in quel preciso momento. Il mio percorso ora è solido, saldo nella mia mente. Non sono più in balia del risultato come prima, quando una cattiva performance o lo stato d’animo di non sentirmi in forma rischiavano di far saltare il lavoro di tutto la stagione…”
“Come succedeva a Kitzbühel?” aggiungono sia Re che Marconi. “Eheh… Un po’ sì, con quella pista ho un conto aperto. Andavo bene in prova ma poi in gara c’era sempre qualche cosa che si metteva in mezzo tra me e i risultati. Sono già due anni che arrivo troppo carico, quest’anno devo stare più calmo se no non combino niente. Devo scalare una marcia…”.
Chiede Re: “Vista questa tua esperienza con un mental coach, cosa ti senti di dire a quegli atleti che come te gareggiano a questi livelli?”.
“Se decidono di farsi affiancare da un professionista, consiglio di credere pienamente nel lavoro che viene fatto insieme. Non è che uno si allena con un mental coach solo perché ha dei problemi. A me è servito per costruire quel metodo che dicevamo prima, per collocare il pensiero giusto al momento e al posto giusto. Oggi sento di avere una consapevolezza nell’arco della mia giornata, sia prima che durante o dopo le gare. Sento che posso disporre dei pensieri più produttivi in quella specifica fase. La mia sciata ha guadagnato in scioltezza e so gestire i momenti di pressione, che anzi trasformo in benzina per spingere verso il risultato”.
Interviene Marconi: “È importante quello che diceva Mattia: un atleta non deve pensare che il mental coach serva solo quando ci sono delle crisi, dei problemi o quando i risultati non arrivano. Il nostro lavoro è aiutare gli atleti a crearsi una base solida per gestire in autonomia i propri pensieri e i momenti alti e bassi che capitano sempre. A considerare gli stop come dei tasselli verso la crescita. Questa cosa la riscontro quando lavoro sull’atteggiamento mentale con i ragazzini più giovani: con loro parto da zero ed è più facile rispetto al lavoro da fare con un campione già formato. Perché il campione negli anni può aver assimilato degli atteggiamenti e degli schemi mentali che non aiutano, che non sono produttivi. Scardinare e ricreare è un lavoro che richiede più tempo e un rapporto di fiducia totale con la persona che supporta. Con il giovane puoi costruire senza resistenze, con l’atleta adulto devi ristrutturare, a volte togliere”.
“Ma con Mattia – chiede Re – com’è stato il rapporto?”
Dice Marconi: “All’inizio io guidavo e lui seguiva, ora il rapporto è più paritario, Mattia è ricco di proposte, suggerisce un certo tipo di lavoro tra il togliere e l’aggiungere, insomma mi restituisce dei feedback molto positivi. Con gli atleti importanti, che hanno come lui una forte personalità (altrimenti non sarebbero arrivati lì dove sono, né si butterebbero in discesa a 140 km/h), il mental coach deve prendere una certa posizione per non perdere autorevolezza, ma senza incrinare il rapporto. Per questo è un lavoro affascinante, sebbene non facile”.
Ultima domanda di Re a Casse: “I tuoi allenatori e i tuoi tecnici sono consapevoli del percorso che stai facendo con Marconi: come hanno reagito?”
“Direi molto bene. Ho sempre messo tutti al corrente di quello che facevo: d’altronde se c’è un elemento che aiuta a far sì che le cose funzionino meglio, i tecnici sono i primi a essere aperti. Hanno visto che quella mia alternanza di prestazioni (tra allenamento e gare) quest’anno non c’era praticamente più. Riuscivo a dare il massimo non più solo in allenamento, ma anche in gara. È cambiata la testa, il sistema di allenamento, la gestione dello stato emotivo, i rapporti umani. E comunque vi dico che non è finita qua: per le prossime due stagioni, tutti insieme abbiamo alzato l’asticella. Le aspettative sono maggiori. Ci aspettano belle soddisfazioni!”