“A poche ore dal Capodanno mi sono detta: Sofia, punta solo alle cose essenziali. A gennaio devi essere un cecchino!”. Detto, fatto. Con il terzo posto nel gigante di Kranjska Gora, Sofia Goggia ha iniziato nel migliore dei modi il percorso di avvicinamento ai prossimi Giochi Olimpici di febbraio in Corea del Sud.
In Slovenia, sulla pista dove Alberto Tomba richiamava folle oceaniche, la 25enne bergamasca si è piazzata dietro l’inarrivabile Mikaela Shiffrin (ottavo centro della stagione per l’americana) e la francese Tessa Worley, bicampionessa del mondo nella specialità. Sofia è tornata competitiva facendo appello a elementi tipici del mental coaching: fisiologia, focus mentale e dialogo interno. La fisiologia vincente si è materializzata nella seconda manche: “Nella prima discesa – ha spiegato lei stessa – avevo sciato senza spingere al massimo. Poi invece mi sono detta: vai giù a canna!”. Un atteggiamento che ha tolto di mezzo perplessità e timori, permettendole di risalire dall’ottavo al terzo posto.
Prendiamo spunto dalla gara della Goggia. Quando un atleta è alle prese con incantesimi negativi, un mental coach preparato è in grado di aiutarlo a sciogliere le resistenze per lasciare libere le potenzialità agonistiche. In questo caso, se uno sciatore – dopo una prima manche poco brillante – continua a ripetersi frasi depotenzianti (“non ce la farò mai” “tanto non ci riesco” “è impossibile”), poco per volta finirà per credere a quella “verità”. La differenza tra un incantesimo e un’affermazione è che il primo aggiunge all’affermazione stessa il coinvolgimento emotivo. Quanto più c’è emotività nell’esprimersi, tanto più la nostra fisiologia sarà coinvolta, con un preciso tono di voce, un certo volume, una certa tensione muscolare e, ovviamente, sensazioni congruenti al messaggio che stiamo verbalmente inviando alla nostra mente. Gli incantesimi sono così potenti perché rappresentano un uso attivo della neurologia e della fisiologia.
La Goggia ha dunque usato la fisiologia nel modo giusto. Anche il corretto focus mentale le ha permesso di essere in gara con la concentrazione di un cecchino. Un bersaglio alla volta e un’immagine del percorso visualizzata come uno slalom, specialità che ti costringe a una maggiore elasticità e a tempi di reazione più ravvicinati. Per un atleta, specie di questo livello, focalizzarsi su un obiettivo preciso significa farsi le domande giuste, trovare la propria personale sequenza fatta di colori (le porte del tracciato), di suoni (i tifosi che ti incitano), di silenzi.
Ecco, i silenzi. Sciando, in gara o a livello amatoriale, anche a te sarà capitato di utilizzare i silenzi per dare spazio al dialogo interno. Le parole che usiamo nella nostra mente, ma anche quelle che usiamo per dialogare con gli altri, influenzano in maniera potente le nostre credenze, e di conseguenza le emozioni, gli stati d’animo e le azioni. Sofia ha spiegato di essersi lasciata alle spalle i cattivi pensieri di inizio stagione, come se avesse deciso di indossare nuovamente il mantello di Super-Goggia e non arrendersi all’immagine di se stessa che riceve il carbone nel giorno della Befana. Per questo alla fine della gara, quando ha capito di aver raggiunto il podio, si è lasciata andare a un grido liberatorio seguito da lacrime di vera emozione.
Dalle sue parole capiamo che l’atleta azzurra è riuscita nell’impresa mentale di sciogliere la vecchia credenza di “fiore appassito” (come qualche giornalista l’aveva etichettata) per sostituirla con una nuova identità: “A me le rimonte piacciono – ha spiegato – fanno parte del mio stile d’attacco, del mio spirito agonistico. Mi sono rivista a Killington nel 2016, quando in gigante incominciai la serie di piazzamenti ad alto livello!” Eccolo dunque il riferimento a un’immagine di sé vincente, positiva, aggressiva ed essenziale al punto giusto.
Ultima nota in chiave mental coaching riguarda la maturità acquisita da Sofia. “Il mio allenatore – ha detto ai microfoni – mi diceva che era una questione di auto-convincimento, ma io gli ho spiegato che non poteva essere così. Servivano calma e lavoro per rimettermi a posto. Ho aumentato gli allenamenti, in gigante e slalom, per migliorare ancora di più la tecnica”. Come dire che a volte occorre saper coltivare la pazienza e capire che se, come ha detto lei, “il motore all’inizio è ingolfato, ma ora gira alla perfezione”, significa che la preparazione mentale deve andare di pari passo alla crescita tecnica e alla preparazione atletica.
Un mental coach non sarà mai il sostituto di un allenatore o di un preparatore atletico: al contrario aiuta l’atleta ad ascoltarsi meglio, a gestire in modo efficace emozioni e paure, a rendere allineati mente, corpo e attrezzo, per essere più lucidi nell’applicare la tecnica e le strategie agonistiche. A renderle efficaci, essenziali, vincenti. Spazzando via le tossine mentali che rappresentano un ostacolo. In certi casi una vera e propria zavorra. Per lo sciatore il mental coach ha la stessa funzione dello ski-man: è un supporto fondamentale, il primo per i materiali, il secondo per l’aspetto mentale. Alla fine però sarà sempre l’atleta a utilizzarli e a… vincere!