
Fantastica Federica Brignone, trionfatrice nello slalom gigante di Plan de Corones, l’ultimo prima dei Mondiali. Favolosa giornata di sci per i nostri colori azzurri, con la connazionale Marta Bassino che si qualifica terza e Irene Curtoni (grazie a una splendida seconda manche) al settimo posto, a completare così la magica prova delle italiane: un ritorno della “Valanga Rosa”!!
Da appassionato di coaching, o da atleta professionista, ti starai chiedendo: la vittoria della Brignone è frutto soltanto di una grande performance fisico-atletica, oppure c’è dietro anche una preparazione mentale? È la stessa domanda che noi di Sport Power Mind ci siamo fatti a caldo in redazione, cercando di saperne di più sui retroscena che hanno meritatamente spinto questa bellissima atleta ventiseienne sul massimo gradino del podio.
Proviamo a inquadrare insieme alcuni elementi che circondano questo eccellente risultato. Quella ottenuta in Alto Adige è la terza vittoria in carriera per Federica. Lei, milanese trapiantata fin da piccola in Val d’Aosta, è cresciuta mentalmente con alcune credenze importanti, la maggior parte delle quali positive. Intanto è figlia d’arte, come si dice quando un talento in qualsiasi disciplina ripercorre le orme di genitori famosi. Sua madre è Maria Rosa Quario, ex campionessa dell’allora “Valanga Rosa”, sciatrice di livello internazionale tra il 1979 e il 1986, con quattro vittorie in gare di Coppa del Mondo. Il padre Daniele è invece maestro di sci, tassello fondamentale nella carriera di Federica, che è stata fin da piccola a contatto con la neve in alta quota.
“Aveva solo un anno e mezzo – raccontano i familiari – quando, con un paio di sci di plastica ai piedi, Federica se ne andava in giro dappertutto, perfino sulla moquette dell’appartamento di Milano in cui abitava”. Pare che all’età di soli due anni, nella stradina dietro la casa dei nonni a Courmayeur, si lanciasse con grande divertimento contro il muro di neve in fondo alla pista! C’è poi lo zampino della nonna Adriana, che l’aveva iscritta alla scuola di sci dove ogni giorno i maestri erano costretti a cambiarla di classe tanto era la velocità con cui migliorava rispetto agli altri…
Capirai che grazie a questi valori e credenze legate all’identità, un’atleta come Federica si porta dietro un background importante a livello mentale. Ma dietro la vittoria di Plan de Corones ci sono almeno altri dettagli da considerare, in chiave coaching. Parliamo di quegli ancoraggi che aiutano ad associare un’immagine vincente a una situazione reale. La prima era il fatto di gareggiare in Italia. La Brignone, lo ha detto lei stessa ai giornalisti a fine gara, sentiva il tifo casalingo come un elemento di spinta verso il traguardo. “Del tutto normale”, potrebbe dire in scioltezza qualunque sportivo che conosce bene i vantaggi nel giocare “in casa”. Stavolta però vale doppio, ci viene da pensare: perché Federica e tutte le altre atlete di Coppa del Mondo fanno parte del cosiddetto “circo bianco”, un lungo campionato a tappe che si svolge in giro per diversi continenti, con prove in tutta Europa, Stati Uniti, Canada e perfino Corea del Sud. In Italia perciò le gare sono pochissime, e quindi il “vento favorevole” soffia solo 2-3 volte a stagione. Prenderlo al volo è un’occasione rara, occorre farsi trovare mentalmente pronti.
Per ultima, ma forse più importante, la mini-sessione di coaching che Davide, il fratello di Federica, ha svolto con lei nell’intervallo tra le due manche. Anche questo lo ha rivelato la Brignone a fine gara. “È riuscito a calmarmi – ha detto Federica – mi è stato vicino allentando la tensione. Poi mi ha detto che avrebbe dato tutto per poter gareggiare in coppa, che stavo facendo la cosa più bella del mondo”. Un’immagine che ha responsabilizzato la Brignone e che ha “zittito” quel dialogo interno che ultimamente le ricordava solo le recenti performance: grandi tempi in allenamento ma scarsa brillantezza in gara… Questo temibile mantra ripetuto negli anni le ha generato a tratti un’identità non positiva: quella di “talentuosa incompiuta” (purtroppo spesso rievocata anche dai giornalisti).
Per disarmare questa convinzione negativa, occorreva comunque spostare il focus, riattivare mentalmente (e fisiologicamente) i dettagli, i gesti tecnici e le strategie nelle quali Federica potesse riconoscere il sapore del successo. Oltre a questo, la mente della Brignone lottava anche contro un altro tipo di “fantasma”: quello delle rivali. Lei stessa nelle interviste descrive le americane Lindsey Vonn e Mikaela Shiffrin come due robot: infallibili, inflessibili, metodiche, vere e proprie macchine da guerra.
Un coach che lavori con Federica dovrà invece aiutarla a non inseguire questi modelli, a differenziarsi con abilità proprie, sfruttando le caratteristiche “creative” che un’atleta italiana possiede nel proprio Dna. Dovrà ricordarle che lei stessa ha superato ostacoli clinici (operazioni alla caviglia e agli occhi per eliminare miopia e togliere le lenti a contatto) ed è tornata più in forma di prima. Dovrà attingere alle sue energie di persona resiliente, che gira continuamente per il mondo, ma che poi fra le mura di casa ritrova i suoi amici e i suoi affetti più cari. La Brignone dunque non come un robot “italo-americano” ma come un vero talento emotivo italiano. Tutto questo cocktail messo insieme l’ha portata a ritrovare il coraggio, la fantasia, la determinazione, per sopportare e superare la pressione che un atleta prova al cancelletto di partenza, soprattutto se si trova in testa dopo la prima manche. E dunque a incamerare una fantastica vittoria!
Le dichiarazioni a caldo di Federica dimostrano l’importanza dell’aspetto mentale. Le sue espressioni convinte confermano inoltre la consapevolezza da parte di una campionessa (ancora molto giovane) di quanto questa parte costituisca un elemento imprescindibile per la vittoria. “Pensavo di non essere più capace. Quello che devi guarire prima di tutto è la testa” “E’ servito lavorare da sola, mentre le altre erano a fare le gare. Così come il mental coach”.