
Adam Ondra aveva visto e rivisto quella parete migliaia di volte nella sua mente. Ma per battere il record di arrampicata (primo climber della storia ad aver vinto una parete di grado 9C) ha impiegato soltanto quaranta minuti. Uno dei quali trascorso addirittura con i piedi sopra la testa!
Ha del magico l’impresa di questo 24enne ceco di nazionalità (ma “geco” di professione) che ha sfidato le leggi della fisica e ha portato a casa un successo difficile da battere. Per cinque anni si è allenato sia fisicamente che mentalmente, facendosi aiutare da un mental coach con il quale ha ripetuto i singoli movimenti (oltre 100 diversi) che gli hanno permesso di entrare nella storia.
“Ho iniziato a lavorarci già dal 2013 – ha spiegato Adam – facendo sette viaggi in una falesia in Norvegia dove nessuno era mai riuscito ad arrivare. Durante la prova, alla fine della via, quando ho capito che ci ero riuscito, ho provato per la prima volta delle emozioni strane. Mi sono appeso alla corda e ho pianto: erano lacrime di eccitazione, allegria e sollievo, tutto mescolato insieme. Mesi della mia vita riassunti in 20 minuti di fatica e inferno”.
Ondra ha poi spiegato che una componente fondamentale per il successo della prova è stata la flessibilità. Con il suo coach ha lavorato sia sul piano fisico, con sedute specifiche di Yoga, ma anche sul piano mentale, rinforzando un concetto tanto caro agli atleti che si arrampicano in roccia.
Simile, seppur di difficoltà inferiore, l’impresa compiuta invece da Stefano Ghisolfi, 24 anni torinese, unico italiano ad aver scalato un 9B. “Da piccolo mi arrampicavo di continuo su lampioni e cartelli stradali… In verità, a livello sportivo ho iniziato da ragazzo con le gare di mountain bike. Ma dopo un po’, quasi per caso, ho capito che la mia strada era quella di scalare le montagne in parete”.
Anche Stefano lavora con un mental coach, ma non di professione. “Si tratta della mia fidanzata – dice l’atleta torinese – è una ragazza tosta che sta sempre al mio fianco. Nonostante sia dializzata, e aspetti da tempo il trapianto di rene, lei è sempre positiva, piena di energia. Quando sono stanco morto, guardandola penso che se ce la fa lei, allora posso farcela anch’io. Spesso la stanchezza è solo uno stato mentale!”.
La sintesi di queste due storie emozionanti risiede nella figura del mental coach. Per entrambi è un allenatore non tecnico, che aiuta a migliorare le prestazioni di carattere fisico attraverso un efficace lavoro mentale, fatto di obiettivi e di piani d’azione. Con un coinvolgimento emozionale che consente di superare qualunque barriera mentale.
Perché in cima a una roccia si è da soli con se stessi. Non sempre si può richiamare la fisiologia per cambiare modulo e interrompere i flussi di pensiero negativo. È qui che il focus mentale e il dialogo interno entrano in scena e la fanno da padroni. Ma se il lavoro con il mental coach è stato svolto con accuratezza, e da un vero professionista, allora la mente riprenderà il controllo e porterà l’atleta a superare la difficoltà.