Molti di voi non erano probabilmente nati quando nel 1976, ai Giochi olimpici di Montreal, la 14enne Nadia Comaneci, nelle parallele asimmetriche, diventava la prima ginnasta al mondo a ottenere 10 in una gara olimpica. Un record, una prodezza che è entrata nelle case di tutto il mondo: massima votazione, il numero che vale la perfezione, sopra il quale non c’è più nulla.
Oggi, in attesa della nuova stagione sportiva, prendiamoci qualche minuto per ripercorrere insieme la storia di alcune prime volte. Di quando certi limiti (intesi come record e punteggi) apparentemente insuperabili – in quanto figli di imprese eccezionali – sono stati improvvisamente abbattuti grazie a un cambio di paradigma mentale.
È capitato alla minuscola rumena Comaneci, che in quelle Olimpiadi canadesi otterrà il massimo punteggio altre sei volte, vincendo l’oro nel concorso generale e alla trave, e diventando un’icona del suo sport, la più famosa ginnasta di tutti i tempi. Era accaduto – come da noi già raccontato – anche a Sir Roger Bannister nel 1954, quando oltrepassò nella distanza del Miglio quello che anche la scienza dell’epoca considerava un muro invalicabile (alla stregua delle Colonne d’Ercole): correre sotto i 4 minuti. Lui ci riuscì in 3’59”4.
Come dimostrano i due esempi, abbattere un limite nello sport equivale a rompere un tabù. Nel caso del Miglio, dopo soli 46 giorni dal record, il tempo di Bannister verrà ritoccato dall’australiano John Landy. E nell’anno successivo oltre una trentina di atleti scenderanno sotto quei fatidici 240 secondi. Addirittura, nell’arco di tre anni, circa trecento uomini saranno in grado di ottenere il medesimo risultato!
Com’è spiegabile che ciò che per secoli era stato impossibile per milioni di atleti, è diventato improvvisamente alla portata di tutti? La storia di Bannister ci permette di capire e di imparare moltissimo su quanto le nostre credenze condizionino il potenziale che sfruttiamo, le azioni che intraprendiamo e, di conseguenza, i risultati che otteniamo.
Spiega Roberto Re, fondatore dell’International Sport Mental Coaching Institute: “Questo racconto mi ha sempre particolarmente colpito: intanto perché dimostra in modo tangibile quanto le credenze modifichino l’accesso alle nostre risorse, incluse, come in questo caso, quelle fisiche. Una volta dimostrato che ottenere quel risultato era possibile, il sistema di credenze di migliaia di mezzofondisti si è modificato. E molti di questi sono riusciti di getto a realizzare un risultato che, guarda caso, fino ad allora era stato impensabile. Convincersi che si poteva fare ha improvvisamente offerto un accesso a risorse fisiche e mentali fino a quel momento inutilizzate”.
Molto spesso veniamo dunque enormemente condizionati da credenze culturali collettive che prendiamo per buone semplicemente perché “lo dicono tutti” o perché “si è sempre fatto così”. Molte volte, anche nello sport professionistico, crediamo con fermezza a qualcosa senza neanche sapere perché: cose che spesso si rivelano totalmente false e infondate.
Molti mental coach o allenatori non più di primo pelo ricordano con emozione le imprese dello “zar” ucraino Sergey Bubka nel salto con l’asta, il primo a volare oltre i sei metri nel 1985. O della tedesca Rosemarie Ackermann, che – prima donna nel salto in alto – superava la barriera storica dei due metri. Sono momenti sparti-acque: sotto il profilo delle credenze, nulla è più come prima, nessuno potrà più rifugiarsi nell’alibi del “fisicamente è impossibile!”.
Due icone a nostro avviso restano indelebili sotto l’aspetto delle imprese “mentali”. La prima è di certo Jim Hines, l’americano che – per primo al mondo – ha corso i fatidici 100 metri sotto i dieci secondi, alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. Un sogno volante!
La seconda icona, per certi versi ancora in…carica, è Wilt Chamberlain, uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi. Un suo record resiste da oltre mezzo secolo (ed è considerato irraggiungibile per lo meno nel Nba): nel 1962, nel match che vide i suoi Philadelphia Warriors surclassare i New York Knicks per 169-147, la spaventosa macchina da canestri denominata Chamberlain mise a segno 100 punti. Ma ciò che valorizza ancora di più il primato è che allora non esistevano i canestri da tre punti. Senza dimenticare che il secondo realizzatore di sempre (Kobe Bryant), si è “fermato” a 81 punti. Dunque…
Morale della favola. Una persona che crede di non poter fare qualcosa, non sfrutterà mai il suo potenziale, compirà azioni non vincenti, ottenendo risultati scadenti. E questo rinforzerà le sue credenze sull’idea di non essere in grado di realizzare quella cosa.
Lo stesso funziona anche al positivo: una persona che ha delle convinzioni potenzianti su se stessa, se entra in campo con questo atteggiamento, sfrutterà al massimo il suo potenziale, avrà accesso alle proprie risorse al 100% e agirà come deve, con risultato positivo, confermando così quella credenza.
Non è detto che questo meccanismo ti darà la sicurezza di vincere al 100%, ma ti aiuterà senza dubbio a farti accedere a tutte le tue risorse. Cosa peraltro accaduta a Johnny Weissmuller, il leggendario Tarzan cinematografico, campione di nuoto con tre medaglie d’oro vinte a Parigi nel 1924. Due anni prima dei Giochi francesi nuotò i 100 stile libero in meno di un minuto, realizzando il record dell’epoca e abbattendo un muro che da allora ha liberato almeno altri 40 atleti dopo di lui. Atleti che nel tempo hanno migliorato quel record allora impossibile.