Le motivazioni nello sport fanno la differenza. Quinta giornata di Champions League, Siviglia-Liverpool. Al termine del primo tempo gli andalusi sono sotto di 3 gol: poi qualcosa cambia e al rientro in campo riescono a sbloccarsi fino a raggiungere il 3-3 contro i Reds. Cos’è accaduto durante l’intervallo negli spogliatoi dello stadio Ramón Sánchez-Pizjuán? Oltre la rimonta, qui c’è qualcosa di più.
Ci sono storie che commuovono, quelle che strappano un sorriso e quelle che possono dare una grande carica. A volte sono leggende, ma vogliamo credere siano realtà. Subito dopo la partita, infatti, comincia a diffondersi una notizia: Eduardo Berizzo, allenatore degli andalusi, avrebbe un cancro alla prostata e dovrà essere sottoposto a cure mediche e a un’operazione chirurgica.
C’è chi sostiene che Berizzo abbia raccontato della sua malattia proprio nell’intervallo di Siviglia-Liverpool. Un peso che si portava appresso da giorni e che ha scosso i suoi uomini al punto da rientrare in campo con un’altra mentalità, un’altra fame e pareggiare incredibilmente la partita: da 0-3 a 3-3, una rimonta simile a quella che il Liverpool inflisse al Milan nella finale di Champions 2005, in sei minuti e con una posta in palio ben diversa.
A parziale conferma dell’indiscrezione, le parole di Banega (centrocampista del Siviglia e della nazionale argentina) al termine della sfida: “Eravamo nello spogliatoio dopo i primi 45 minuti sapendo che, se ci avessimo provato, potevamo riuscire a recuperare tre gol. Dovevamo uscire in campo con un atteggiamento diverso, per i nostri tifosi che ci aiutano sempre e per il mister che ha saputo invertire la situazione. È il nostro comandante, ci porta sulla strada giusta e siamo tutti con lui al massimo”. Questo spiega anche il caloroso abbraccio di tutta la squadra all’allenatore al momento del pareggio arrivato in extremis. Immagini che resteranno indelebili nella memoria di Berizzo e dei tifosi del Siviglia.
Cosa accade dunque nella mente di un atleta quando arrivano messaggi esterni di questo genere? Partiamo dai bisogni fondamentali dell’essere umano: fra questi, uno dei più forti è quello cosiddetto del “contributo”, che soddisfa il desiderio di aiutare gli altri a essere appagati, fornendo un sostegno simile a quello che noi stessi vorremmo ricevere. Sentirsi parte di un team, specialmente per uno sportivo, è una leva emotiva molto forte. È parte dell’essenza di qualunque sport di squadra!
Se sei un mental coach o un atleta, saprai di cosa stiamo parlando. In particolare quando si genera un rapporto con un allenatore che è anche il padre stesso dell’atleta. Ti è capitato di leggere le storie del tennista Andre Agassi o del calciatore Paolo Maldini? Avere un genitore come coach può essere un ingrediente di maggiore spinta, a patto che il rapporto tra i due sia sano e costruttivo.
In questa storia però entrano in gioco anche le credenze e le convinzioni rispetto al “non sentirsi all’altezza”. Andare all’intervallo sotto di tre gol è un fatto oggettivo che può essere condizionante a livelli elevati. Nella mente dei giocatori scattano pensieri e dialoghi interni che schiaccerebbero chiunque: “Il Liverpool è un club tradizionalmente forte, hanno vinto un sacco di titoli, recuperare 3 gol è un’impresa impossibile, ecc ecc”.
Quando la mente inizia a incanalarsi in comunicazioni di questo genere, il dialogo interno che facciamo con noi stessi è estremamente frenante e rassegnato. Le convinzioni si sedimentano in base a esperienze vissute, sia in prima persona che da altri intorno a noi. Per ribaltare la situazione occorre qualcosa di anomalo, che rompa gli schemi e dia un colpo secco alle gambe del tavolo delle nostre credenze. Un intervento esterno che spariglia i percorsi mentali: e che fornisce energia alla nostra fisiologia, ai comportamenti in campo.
Che stimolo incredibile dunque è arrivato ai giocatori del Siviglia una volta saputo che il proprio tecnico rischiava di morire! Qualcosa da far ribollire il sangue, da trasformare lo stato d’animo e la natura del proprio gioco da zero a mille! In questo caso la motivazione intrinseca è arrivata dall’esterno. Ma per coloro che lavorano con un mental coach, saper attingere a motivazioni interne è un percorso fattibile. Allenabile. Esplosivo!