
Porsi dei limiti è una delle più grandi azioni di autosabotaggio che uno sportivo possa compiere ai danni della propria carriera. Nel corso dei miei anni di lavoro come mental coach, è uno dei problemi più frequenti in cui mi sono imbattuto.
Ho conosciuto ragazzi che si erano messi in testa che non avevano i numeri per diventare professionisti e sono rimasti a bivaccare in Serie D nonostante avessero tutte le carte in regola per accedere al calcio professionistico; ho conosciuto giocatori convinti di non avere il fisico adatto per il calcio che hanno passato l’adolescenza a maledire il destino di non avergli dato i muscoli di Superman; ho conosciuto una serie innumerevole di attaccanti che hanno trascorso il tempo ad autoflagellarsi per la loro ansia cronica sotto porta e di esterni che si sono accontentati di giocare con un solo piede. In tutti i casi un denominatore comune: si erano imposti un limite, avevano fatto i ragionieri invece che i piloti di Formula Uno.
Sapete qual è l’aspetto paradossale di tutto ciò? Sentirsi limitati fa comodo. Già, proprio così: sentirsi limitati ci permette di rimanere al caldo della nostra zona di comfort, non guardare cosa c’è fuori, ci consente di evitare la fatica immane di triplicare i nostri sforzi per andare a vedere cosa potremmo scoprire oltre i nostri limiti. Mi percepisco come un giocatore modesto che non ha i mezzi per diventare un professionista? Una gran pacchia, potrò continuare ad allenarmi come sempre, non alzare mai l’asticella e rimanere a fare la stella nella squadra del mio paese. Mi percepisco un buon attaccante privo della dovuta cattiveria sotto porta? Forse è meglio… Invece di fermarmi a fine allenamento a spaccare la rete per un’ora con cinque gradi sotto zero, potrò subito correre a casa dalla fidanzata.
Osho, maestro spirituale indiano, diceva una cosa bellissima a proposito dei limiti: “senza un grande sforzo, è difficile avere la percezione di sé in quanto spazio infinito. Ci si identifica con i limiti. È più facile sentirsi limitati.”
Niente di più vero. E’ faticosissimo percepirsi privi di limiti, richiede un’ambizione fuori dal comune, lavoro estremo, impone di andare alla caccia di nuovi traguardi non appena se ne è raggiunto uno. Sei arrivato alla Lega Pro? Fai festa un paio di giorni, poi ti metti a lavorare duro per dimostrare a te stesso di valere la categoria e quando l’hai dimostrato dai la caccia alla Serie B. Certo, non mancano gli aspetti negativi in una vita sempre all’attacco, ad esempio una componente ansiogena più elevata rispetto a colore che sono capaci di accontentarsi, ma nello sport ad alti livelli non esistono mezze misure. Non si scappa, amici: i ragazzi che ce la fanno sono quelli che urlano “voglio fare il calciatore, sono pronto a tutto per raggiungere il mio sogno”, non quelli che sussurrano quasi imbarazzati “mi piacerebbe fare il calciatore, ci spero”.