
S.L. ha 27 anni ed è un calciatore professionista. Attualmente gioca in Lega Pro, ma soltanto quattro anni fa giocava in Serie A. Una serie di infortuni e problemi personali lo hanno ridimensionato trasformandolo da promessa a misconosciuto delle serie inferiori, una parabola tanto amara quanto classica nel mondo del calcio.
Quando diventai il suo mental coach (luglio 2014), mi raccontò che da circa un anno soffriva di pubalgia, ma che non si era mai seriamente attivato per curarsi nel timore di perdere il posto in squadra. Il ragazzo, cioè, nascondeva e minimizzava la sua patologia con il risultato di compromettere sia la sua condizione fisica sia la sua autostima. Giocando in condizioni precarie, infatti, si esprimeva ampiamente al di sotto delle sue potenzialità.
A settembre decise di affrontare il problema di petto e si affidò a un centro di riabilitazione sportiva. Gli venne diagnosticata una sindrome retto-adduttoria caratterizzata da una forte infiammazione nel luogo di inserzione sul pube dei muscoli addominali e dei muscoli adduttori.
Per evitare la cronicizzazione della patologia, lo specialista gli ingiunge il riposo assoluto di sei settimane e un protocollo riabilitativo fondato su sedute di laser, trattamento antiinfiammatorio locale, esercizi di stretching degli adduttori ed esercizi di riequilibrio del bacino.
Il giocatore intraprese il percorso di riabilitazione, ma assunse un atteggiamento fatalista e depressivo fondato sul timore di non poter mai più tornare il giocatore di prima. Non solo, insieme a questo spettro professionale, iniziò a palesare un timore di ordine più generale: quello di “rimanere per sempre malato”.
Se dal punto di vista clinico avevamo a che fare con una subdola ma consueta pubalgia, dal punto di vista psicologico ci trovavamo a scontrarci con credenze limitanti, fantasie depressive e un linguaggio interno negativo (“non ce la farò mai”, “sono un giocatore finito”, “sono maledetto”).
Per aiutare il ragazzo ad assumere un atteggiamento costruttivo, utilizzai nel corso delle sessioni di coaching tre strumenti fondamentali: l’ascolto attivo con conseguente feedback di elogio, la visualizzazione e la ristrutturazione del linguaggio interno.
1) Ascolto attivo e feedback di elogio sono volti ad accompagnare l’atleta durante il protocollo riabilitativo. Si tratta di tecniche funzionali a mantenere nella giusta direzione comportamento e nucleo emotivo, dare slancio al suo impegno e aumentare il suo senso di autoefficacia.
2) La visualizzazione permette di vedere in anticipo ciò che si vuole vivere in futuro. L’immaginazione mentale incide su molti processi cognitivi del cervello: controllo motorio, attenzione, percezione, progettazione e memoria.
Il paziente, immaginandosi su un campo di calcio al meglio delle sue possibilità fisiche, rafforza l’autostima e si tiene in allenamento a livello mentale (immaginare tiri, contrasti, dribbling e colpi di testa consente di mantenere confidenza con il gesto tecnico).
3) Gli atleti di successo parlano con se stessi in maniera potenziante ripetendo (anche ad alta voce) affermazioni che li aiutano a mantenere alta la stima di sé. Alcuni esercizi di “mental coaching” sono particolarmente utili in quei casi in cui l’atleta deve correggere il proprio “dialogo interno”.
In questa prospettiva è fondamentale parlare con sé stessi in modo indulgente, essere premurosi e incoraggianti, capaci di spronarsi con dialoghi interiori positivi e potenzianti.
Al termine delle sei settimane del protocollo riabilitativo, l’atleta era di ottimo umore e aveva ottenuto notevoli miglioramenti sul piano fisico tanto da indurre gli esperti del centro di riabilitazione a dichiararlo guarito e pronto a riprendere la preparazione con la squadra.
La storia di S.L. ci permette di capire come, durante il recupero da un infortunio, un’attività di supporto volta a ottimizzare le risorse dell’atleta sia in grado di trasformare un problema in opportunità. Il ragazzo, infatti, ha utilizzato le sei settimane di stop per rafforzarsi mentalmente migliorando la propria autostima e percezione di sé.
L’ascolto attivo e i feedback di elogio gli hanno consentito di trovare fiducia e affetto; l’attività di visualizzazione gli ha permesso di non perdere confidenza con il gesto tecnico e di “pre-vivere” emozioni fortemente positive; la ristrutturazione del dialogo interno ha dato il la a un nuovo e vincente modo di percepirsi atleta. In estrema sintesi, un infortunio e un’interruzione dell’attività agonistica possono essere un’occasione formidabile per trasformare le proprie credenze limitanti in credenze potenzianti.