
“Nessun grande impegno e grande prestazione possono essere prodotti senza un particolare stato d’animo, propenso all’entusiasmo e a una condizione dello spirito rivolto all’attrazione per la cosa oggetto di interesse”. Anche se scritte con un italiano d’altri tempi, rileggi bene queste parole, pronunciate tempo fa dal professor Carlo Vittori – padre di molti moderni mental coach sportivi – recentemente scomparso all’età di 84 anni.
Non so se hai mai sentito parlare di Vittori, il tecnico che ha fatto vincere 46 medaglie all’atletica italiana nel periodo d’oro (anni Settanta). Il Professore, così soprannominato, era conosciuto soprattutto per aver scoperto e allenato Pietro Mennea, il campione olimpico dei 200 metri ai Giochi di Mosca 1980, primatista mondiale della specialità dal 1979 al 1996 con il tempo di 19″72.
Torniamo alle parole di Vittori. In tempi non sospetti, quando praticamente nessuno parlava di “allenamento mentale”, lui invece portava avanti studi sul miglioramento della forza, intesa come energia muscolare esplosiva, componente fondamentale per un velocista. Per Vittori, Mennea e gli altri atleti da lui seguiti (Fiasconaro, Sabia e Pavoni) erano un mix di biologia e motivazione.
La rigorosità dei suoi allenamenti è passata alla storia: insieme alle tabelle di marcia, il suo lavoro di coach consisteva nel portare il corridore a quella che veniva chiamata “fusione totale” con la specialità. La mente doveva lavorare in maniera incessante per l’obiettivo finale, anche in momenti che potevano sembrare non utili alla causa. “I miei ragazzi – diceva – devono puntare a vivere con intensità il giorno dei giorni, quello per cui dedichi anni di fatiche e sudore. Ma il pomeriggio fatidico può arrivare anche in una garetta di provincia, dove nessuno si aspetta che batterai il record del mondo della specialità!” Un approccio dunque totalizzante che aveva fatto di Vittori un perfetto consulente per atleti di altre discipline: oltre ad andare a Firenze per seguire il recupero fisico di Roby Baggio, in seguito aveva lavorato come preparatore atletico con il Pescara del suo amico Carlo Mazzone.
Ma il padre dei coach sportivi aveva messo a fuoco uno di quei fattori che fanno realmente la differenza, più che mai nel professionismo di oggi: l’equilibrio tra vita privata e sport. Fu uno dei primi a capire che un campione non può buttare la sua integrità morale e psicologica conducendo una vita dissoluta fuori dal campo e dalle piste di atletica. Un’idea che molti tecnici in quegli anni hanno poi cominciato a perseguire, anche in discipline come il calcio dove iniziavano a girare milioni di lire (e oggi di euro). Allenatori come Bearzot e Trapattoni hanno più volte raccontato di come fossero costretti a girare la notte fra le camere d’albergo per controllare che i propri giocatori fossero effettivamente a dormire…
Oggi forse – con il professionismo spinto e le tecniche mentali per raggiungere il successo – casi come questi sembrano essere più rari (anche se di Balotelli se ne trovano ovunque). Ma in ogni caso gli insegnamenti del professor Carlo Vittori resteranno scolpiti negli annali dello sport. La classe non è acqua, tantomeno i numeri dei successi e delle medagli olimpiche!