
Il mental coaching è allenamento mentale, niente di più e niente di meno!
In Italia si sta imponendo solo da qualche anno, mentre in altri paesi, Stati Uniti in primis, è ormai una pratica acquisita. Difficile trovare giocatori della NBA e della NFL che non si avvalgano del mental coach. D’altronde basta soffermarsi un attimo a pensare per intuirne l’importanza. Le prestazioni di un atleta sono determinate da quattro componenti: preparazione atletica, preparazione tattica, preparazione tecnica e preparazione mentale. Alla preparazione atletica pensano preparatori atletici, medici e nutrizionisti; alla preparazione tattica e a quella tecnica badano allenatore, viceallenatore, allenatore dei portieri.
Rimane una casella vuota: la preparazione mentale. Chi se ne occupa? L’allenatore? Impossibile. Per vari motivi; innanzitutto è raro che un allenatore abbia le competenze necessarie a svolgere un lavoro di supporto mentale; in secondo luogo un allenatore ha a che fare con oltre venti elementi e il suo tempo è cannibalizzato da moduli, palle inattive, studio degli avversari e scelte di formazione. Infine, diciamolo, tra tanti addetti ai lavori domina ancora una cultura “machista” in cui si crede che per aiutare psicologicamente un calciatore basti invitarlo a “tirare fuori gli attributi”, a “non fare la fighetta”, a farsi forza e altre idiozie di questo tipo.
E’ curioso. Tutti parlano dell’importanza dell’aspetto mentale nel calcio (quante volte abbiamo sentito frasi come: “è un problema psicologico”, “avesse avuto un’altra testa chissà dove sarebbe arrivato”, “non ha la mentalità vincente”) eppure anche le principali società professionistiche sono ben lungi dall’attribuirgli la giusta importanza e, in linea di massima, non fanno assolutamente nulla, salvo limitarsi ad affidare in modo estemporaneo a qualche dirigente accompagnatore l’incarico di fare due chiacchiere con un ragazzo in difficoltà. Si parla di “testa” con superficialità e frasi preconfezionate, come se la testa fosse un oggetto inanimato su cui appoggiare il cappello. E invece no: la mente è il centro di tutto, senza la giusta solidità anche l’atleta più dotato tecnicamente e fisicamente è destinato a esprimere la metà del suo potenziale e a una carriera da incompiuto. Per diventare un calciatore con la c maiuscola devono funzionare all’unisono piedi, gambe e mente. Ed è la mente che comanda!