
“Dalla vita, da ogni sofferenza si impara sempre. E ogni insegnamento è un bene prezioso. Sono stato costretto a scovare qualcosa che non conoscevo, movimenti nuovi, aspetti del carattere che forse avrei trascurato per sempre. Forse, oggi sono una persona migliore”.
Nel coaching, così come nella Programmazione Neuro Linguistica, si chiama “ristrutturazione”, “reincorniciamento” o “reframing”. Più che una tecnica, è un modo di cambiare atteggiamento di fronte alle avversità della vita. Queste parole – pronunciate in una recente intervista da Robert Kubica, ex pilota di Formula Uno, escluso dalle massime competizioni a causa di un grave incidente subìto nel 2011 – ci raccontano che nessuna esperienza è positiva o negativa in sé: ciò che la rende tale è la “cornice” nella quale viene inserita.
Aggiunge Kubica: “Ho trascorso molto tempo in ospedale, ho visto tanta gente patire e soffrire. Mi sono detto: i problemi veri sono altri. Proprio io che un tempo, andavo in bestia per un raffreddore…”.
Se si cambia la cornice o il contesto, il significato dell’esperienza cambia immediatamente. L’ex pilota polacco ha inviato al suo cervello stimoli diversi e potenzianti, che hanno influito positivamente su stati d’animo e comportamenti associati.
“Questa esperienza mi ha costretto ad affrontare un percorso inatteso. Porta a riflettere. Ho subito in un anno più operazioni di quante siano le tappe del Mondiale. Mentre gli altri andavano a correre, io andavo sotto i ferri. Dolore dentro, dolore ovunque. E l’handicap con il quale mi misuravo non riguardava solo la guida, ma la vita quotidiana. Tutti pensavano al pilota ferito ma io dovevo affrontare una quantità di ostacoli per cercare di ritrovare una normalità”.
Al mondo, ci dice Kubica, nessuna esperienza ha un significato assoluto: dipende dalla cornice in cui la si inserisce. Una delle chiavi del successo consiste nell’individuare il contesto più utile per ogni vissuto. Così da poterlo trasformare in qualcosa che agisca a nostro beneficio anziché a nostro danno.
“Per realizzare il mio sogno avevo lavorato tanto, fin da quando ero bambino. Mi trovavo nel momento migliore della mia carriera. Vederlo svanire è stata una batosta. Fisica e mentale”.
L’incidente che ha tolto Robert dalle gare di F1 – un’uscita di strada nel corso di un rally, affrontato per allenamento e divertimento – è stata una perdita enorme per l’intero mondo delle corse. Perché Kubica (77 Gran premi, una vittoria, una pole, 12 podi) era un talento strepitoso, un personaggio speciale. Oggi, nonostante una mobilità articolare fortemente limitata, disputa gare di rally e il Mondiale Endurance.
“Correrò la 24 Ore di Le Mans con il team ByKolles, devo allenarmi per sostenere uno sforzo particolare. È una sfida enorme per me e cercherò di superarla. Ero abituato a correre per un team, adesso corro per me stesso, talvolta contro me stesso. La verità è che sto ricominciando a conoscermi. Sento di essere uscito da un lungo tunnel. Sono determinato, tranquillo. Mi sento più pronto psicologicamente a fare i conti con ciò che ho di fronte. Volevo vincere ogni giorno. Ora so che non è sempre possibile. Forse bastava fermarsi un poco, prendere coscienza e fiato”.
Un atleta o un mental coach dovrebbero rileggere ogni giorno queste parole. In certi casi eviterebbero di convivere con alibi del tutto inutili e inconsistenti. Le sfide fanno parte dello sport, così come della vita. Anche gli infortuni sono tosti da recuperare, sia fisicamente che mentalmente. Ma se credi nel talento, il percorso per rialzarti e fare bene c’è. Magari su altre piste, magari con altri avversari. Magari contro te stesso. Ma in ogni caso, come dice Kubica, è moralmente giusto provarci.