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La mente di McGregor già pensa alla rivincita

By 11 Ottobre 2018Maggio 24th, 2022No Comments

Intervista a Sara Propoggia, sport mental coach e atleta di arti marziali. “L’identità di McGregor è quella di uno che non si arrende. Ma l’irlandese dovrà gestire bene le scorie della sconfitta, usandole come leva positiva. E ignorando interferenze e pressioni dei media”

Neanche il tempo di spegnere le luci e chiudere le porte della T-Mobile Arena di Las Vegas che già si parla di un possibile rematch tra Khabib Nurmagomedov e Conor McGregor. Forse è per questo che John Kavanagh, coach di Conor McGregor, ha spiazzato tutti con un intervento veramente classy, come direbbero oltreoceano: Kavanagh, infatti, ha detto di poter comprendere la reazione di Khabib Nurmagomedov negli attimi successivi alla finalizzazione su Conor McGregor.

 I fatti si riferiscono al match di qualche giorno fa tra il campione in carica dei pesi leggeri, il russo daghestano Nurmagomedov, e l’irlandese McGregor, il lottatore di MMA più famoso in attività, ex campione dei pesi leggeri. Una serata che, dopo la vittoria di Nurmagomedov, ha avuto un epilogo burrascoso: il lottatore russo, dopo aver detto qualcosa indicando l’irlandese ancora stordito a terra, ha scavalcato la recinzione del ring e si è gettato contro lo staff di McGregor. In pochi secondi è iniziata una rissa che ha coinvolto decine di persone, intorno e dentro al ring.

In queste ore, quando tutti si sarebbero aspettati una condanna o delle critiche da parte dell’allenatore irlandese, Kavanagh a dispetto delle polemiche montate dai media ha preferito gettare acqua sul fuoco, concentrandosi sul mero aspetto sportivo delle MMA. “Spero che siano clementi con Khabib – ha detto il coach – e non soltanto nell’ottica di un futuro rematch. In realtà amo vederlo combattere. Diciamo che, seppur in maniera molto tirata, posso capire la sua reazione: ha scavalcato la gabbia, ma non è mica la fine del mondo”.

Se sia o meno la fine del mondo, non tocca a noi giudicarlo. Ciò che possiamo analizzare, per i lettori di questo blog, è l’aspetto comportamentale della vicenda. Per questo abbiamo chiesto il parere di Sara Propoggia, sport mental coach dell’International Sport Mental Coaching Institute. Lei stessa praticante negli anni di varie discipline come il nuoto, la thay boxe, il krav maga, la ginnastica funzionale e il crossfit.

Gli osservatori hanno commentato che McGregor è arrivato a questa sfida “impreparato” mentalmente e senza una tattica efficace. Se un atleta arriva a una sfida importante solo con l’adrenalina agonistica, come riesce a equilibrare i due aspetti (mente-corpo)?

L’adrenalina fa parte delle energie che circondano una gara: il punto è che va gestita a proprio favore, altrimenti può trasformarsi in paura e in paralisi agonistica. Gli atleti devono allenare questa capacità di reagire ai pensieri inconsci, alle interferenze che possono portarti “fuori focus” e a renderti dunque più vulnerabile. Negli sport di contatto, questa abilità è ancora più importante: nonostante gli atleti gareggino in una sorta di “trance ipnotico” – uno stato che ti consente sul momento di non sentire il dolore dei colpi ricevuti – è pur vero che se non sai gestire questa adrenalina, ogni contatto funzionerà da ancoraggio negativo e potrebbe evocare l’immagine di brutte esperienze precedenti, di gare andate male o dove hai provato particolarmente dolore. In pratica, se un calcio o un pugno incassato richiamano un’immagine o una sensazione negativa, ogni colpo può diventare un trampolino verso la paura. Se invece hai allenato bene questa eventualità, se hai sviluppato strumenti fondamentali come la gestione del tuo dialogo interno, potrai rimanere focalizzato nel tuo stato e richiamare sequenze positive per usare l’energia del contatto a tuo favore.

McGregor ha origini umili, ha fatto l’idraulico da ragazzo prima di dedicarsi alle arti marziali. Ha studiato Capoeira, Taekwondo e Kickboxing e queste basi gli hanno conferito caratteristiche preziosissime come imprevedibilità, precisione e velocità. Cosa accade quando un atleta deve costruirsi una sua identità, superando anche i condizionamenti dell’ambiente?

L’identità di una persona non è altro che l’insieme del sistema di credenze che riguardano se stessi. Se un ragazzo come McGregor decide di diventare dal niente un boxeur, dietro ci dev’essere tanta determinazione, fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. Le influenze dell’ambiente possono aiutarti o esserti d’ostacolo: se io credo di essere un pugile, devo iniziare a vedermi come un pugile e ad agire come un pugile! Mi allenerò, mi nutrirò, inizierò a comportarmi e ad assumere abitudini efficaci come quelle di un campione a cui aspiro. Iniziando a fare gare e a ottenere risultati, avrò conferme rispetto alla mia identità, a quello che credo di me stesso.

In effetti non sarà facile per lui vedersi “altro” rispetto alla boxe. È un personaggio mediatico, irlandese, e questo match voleva un po’ essere – nello storytelling mediatico – la sfida tra l’occidente e la Russia: molti hanno evocato la storia di Rocky contro Ivan Drago. Come si riesce a entrare e uscire da un personaggio, se il personaggio inizia a diventare un condizionamento che mette pressione?

Spesso, come in tutti gli sport, a quei livelli c’è una difficoltà enorme a gestire la pressione dei media, a non soccombere e affogare in un personaggio monocorde. Lo stress aumenta perché aumentano le aspettative di giornalisti, tifosi, addetti ai lavori. Qui conta molto – ce lo dice lo studio dei metaprogrammi – se sei una persona a referenza interna (contano di più le tue aspettative) o a referenza esterna (contano di più le aspettative degli altri). Molte volte all’esterno noi vediamo il personaggio, ma McGregor agisce così perché lui si vede proprio così, è nella sua identità. Tant’è vero che già parla di rivincita: non è uno che si arrende!

Tra l’altro in lui c’era anche un forte senso di rivalsa: anche per questo vuole tornare a essere il numero uno. In lui c’è l’attitudine a intimidire e l’utilizzo della guerra psicologica nei confronti dei suoi rivali: un po’ come faceva il grande Muhammad Ali, che McGregor cita come una delle sue prime ispirazioni. Come fa un atleta a rialzarsi più volte dopo una sconfitta?

Qui dipende anche dal tipo di disciplina sportiva. Un conto è un campionato lungo, ad esempio di calcio, dove perdere una singola gara non significa aver perso tutto, perché il conteggio dei punti si farà solo alla fine. O nel tennis, dove puoi perdere anche un game o un set, e magari alla fine vincere l’incontro. Qui invece è “o dentro o fuori”, ogni match è decisivo. E dunque – sebbene la sconfitta faccia parte del percorso – diventa importante lavorare con un mental coach per vivere emotivamente nel modo giusto una battuta d’arresto. Esistono strategie per evitare che la sconfitta ti faccia mettere in dubbio la tua identità e le tue capacità di atleta e di campione. La sconfitta deve servire per capire come allenarmi meglio, come evitare quegli imprevisti, come rinforzare una certa fase di gioco, come rialzarmi la prossima volta. Non dovrà mai diventare invece un pretesto per entrare in un loop negativo, alimentare la sfiducia e mettere così in dubbio l’intera carriera! D’altronde non si può controllare tutto, né gli agenti esterni né tantomeno un avversario: a volte capiterà che il rivale è più forte di te. Il mental coach serve a questo: a farti entrare nello stato giusto per dare il meglio di te stesso durante la performance. E, come nel caso di McGregor, ad aiutarti ad azzerare il più possibile le interferenze negative legate a una sconfitta.

Alessandro Dattilo

Alessandro Dattilo

Giornalista, storyteller, blogger, formatore, ghostwriter. Aiuta aziende e professionisti a raccontare la loro storia, a trasferirla sul web, a farla diventare un libro. Tiene seminari su Brand Journalism e Scrittura Efficace per il Business. Oggi è Senior Content Manager per Roberto Re Leadership School e Stand Out – The Personal Branding Company e docente del programma HRD – Da Manager a Leader. Fondatore di TorinoStorytelling e RomaStorytelling, ha scritto e parlato per quotidiani nazionali, network radiofonici e tv locali. Sul web ha lavorato come consulente editoriale e content manager per il Gruppo Enel, Ferrovie dello Stato, Treccani, Ferpi, Fastweb, Reale Mutua, Comin & Partners e molti altri. Per Mondadori ha pubblicato nel 2014 il libro "Scrittura Vincente", una guida pratica su come usare la parola scritta per raggiungere più facilmente i propri obiettivi in campo aziendale, commerciale, professionale.

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