
Mentre scriviamo, Tom Dumoulin viene tradito dal mal di pancia. Durante la 16a tappa con arrivo allo Stelvio, l’olandese è costretto a fermarsi a bordo strada per un attacco intestinale. Alla fine riparte ma perde terreno dai migliori. Eroicamente, grazie a una concentrazione massima e a un vero e proprio focus sull’obiettivo, resta comunque in maglia Rosa!
Di storie come questa è piena la narrativa del ciclismo, uno sport per certi versi rimasto ancora ai vecchi tempi, con un’incredibile fatica fisica mediata solamente da una bicicletta. Sì lo so, direte voi: ma che biciclette! Tutte in carbonio e alluminio. Così è facile pedalare… Ah sì? Avete mai provato a inforcare una bici e affrontare una salita vera e propria? Anche la rampa del garage… Provateci! Sì lo so, direte voi: ma se sono tutti dopati! Non entro nel merito di una questione atletica, non ho le competenze per discutere la validità dei controlli, la lista delle sostanze considerate “proibite” o l’onestà etica di giovani atleti, spesso pompati alla vittoria da politiche di scuderia.
Mi interessa su questo blog affrontare i temi relativi al mental coaching. Il ciclismo è uno sport duro, dove la testa conta quanto le gambe, se non a volte di più! Ci sono momenti durante la corsa, magari nel pieno di una salita, dove affiorano dalla mente inconscia una serie di credenze negative (in certi casi, vere e proprie paure) che l’atleta può non riuscire a fronteggiare. Per questo, chi lavora con un mental coach, porta con sé una rosa di variabili per gestire anche gli stati emozionali di altissimo livello.
Da parte sua, Dumoulin è un personaggio che affida buona parte della riuscita di una performance al sano rapporto tra la sua mente e il suo fisico d’atleta. Lo dimostra il suo background di studente dagli ottimi voti, uscito dal liceo con la volontà di fare il medico e di intervenire così in maniera “chirurgica” nella vita delle persone. Quel genere di carriera non gli è riuscita per colpa di un sorteggio sfavorevole nel concorso d’ammissione (i posti a Medicina erano pochi e venivano estratti a sorte!): evidentemente il suo destino era quello di salire in bicicletta. Racconta Tom in un’intervista: “A quel punto, deludendo i miei genitori (biologo e preside) che non pensavano che quello del ciclista fosse un lavoro serio, ho deciso di accettare un contratto da dilettante: non ero particolarmente appassionato, ma a parte Medicina non mi piaceva nessun’altra facoltà, mentre mi ero entusiasmato a un arrivo dell’Amstel Gold Race. Tutta quella gente che applaudiva, il rumore degli elicotteri, la voce dello speaker che esaltava i vincitori..!!”.
Scegliere un mestiere in base alle emozioni intense è di certo una grande fortuna. Dumoulin passa professionista nel 2013, a 23 anni. Con il suo metro e 86, i suoi 72 chili e gambe da fenicottero è il prototipo del cronoman. E infatti contro il tempo, vola. Vince le crono di Giro, Tour e Vuelta, sale sul podio ai Mondiali, conquista l’argento olimpico a Rio.
Un altro elemento che consente all’olandese di utilizzare in modo efficace le strategie mentali è la sua passione per gli scacchi. Quest’attitudine ne fa un ottimo leader durante la corsa, in grado di prevedere e anticipare le contromosse degli avversari. A questo si aggiunge una buona capacità di visione nel medio-lungo periodo, di saper pianificare gli obiettivi con meticolosità e perseveranza. Rispetto a un anno fa, dove ha indossato la maglia Rosa per sei giorni, è un altro Dumoulin: allora era venuto pensando al Tour e soprattutto ai Giochi, stavolta ha passato un inverno intero con l’idea di arrivare vincitore a Milano. Si è allenato a Tenerife come d’abitudine, è venuto anche sulle nostre Alpi, a studiare Mortirolo e Stelvio, in quell’Italia che ama al punto da esserci passato spesso con la fidanzata, andando persino a nuotare nel lago di Como.
Dumoulin è anche bravo a fare di necessità virtù. Ad accogliere le sfide e a difendersi da solo. Non ha più accanto il compagno ideale in salita, quel Kelderman che ha pagato con una frattura alla clavicola la sosta del poliziotto in moto prima del Blockhaus, ma ha dalla sua la convinzione di esser nel suo momento migliore.
A proposito di convinzioni e di identità personali (tema importantissimo per un mental coach che segue dei campioni sportivi) c’è una storiella che esprime molto bene ciò che Tom pensa di se stesso. Sentite cosa dice: “Mi disturba che continuino a chiamarmi la Farfalla di Maastricht, la mia città. La storia del ciclismo è ricca di soprannomi, ma io ne vorrei uno più tosto, come Squalo o Condor. So che un’etichetta te la danno e non la scegli, però preferirei esser chiamato in altro modo: farfalla non mi piace”. Insomma, l’idea del corridore sconosciuto che si trasforma in campione (come il bruco in farfalla) fa evidentemente a pugni con l’identità personale del campione olandese.
Nonostante la sua natura aggressiva in gara, Tom è riconosciuto da tutti per il suo stile, il suo fair-play. Domenica scorsa, durante la tappa in arrivo a Bergamo, in discesa è caduto Nairo Quintana, il colombiano acerrimo rivale di Dumoulin. Quest’ultimo, che pedalava in testa al gruppo, ha allargato le dita della mano per rallentare l’andatura di tutti e aspettare il nemico. “Non mi piace approfittare in questo modo degli avversari” ha detto a fine corsa.
Atteggiamenti che ne fanno un leader in sella ma anche a piedi. Da buon olandese, Tom è un ragazzo tranquillo ed educato, che in corsa ringrazia persino i tecnici delle altre squadre quando gli fanno la scia con le ammiraglie. Quando non è in bici, resta il ragazzo gentile che, al ritorno in albergo, regala selfie e autografi ai poliziotti della scorta, si concede alle foto di chiunque gliele chieda e cena con la squadra nella sala con gli altri clienti.
Non sappiamo se l’olandese vincerà questo Giro oppure se il malore intestinale che gli ha fatto perdere minuti preziosi consentirà agli inseguitori di riprenderlo in classifica generale. In ogni caso, Dumoulin è un ottimo prototipo di atleta del terzo millennio, attento all’aspetto mentale così come al suo allenamento su strada. Per lui, così come per migliaia di ciclisti professionisti, avere al fianco un mental coach in grado di indirizzare al meglio le energie psico-fisiche, è di certo un valore che può fare la differenza.