
Il ciclismo è incredibile. Appassiona grandi e piccini proprio per il suo essere elementare: una bicicletta e un corpo umano. Nient’altro. Come quando da bambini si sfrecciava spensierati per le strade della vita, convinti di poter fare qualunque cosa, di arrivare dappertutto.
Guardando in questi giorni le tappe del Tour de France, così come quelle del Giro d’Italia nel maggio scorso, si ritorna giovani, si rientra in quell’essenzialità tipica di un periodo senza fronzoli, diretti verso l’obiettivo. Sono attimi in cui la mente è un grande alleato per vincere le sfide del cambiamento, della crescita personale. Si innesca un mutamento, una trasformazione, si finisce per essere diversi. Dopo gare così faticose, l’eroe si accorge di aver cambiato pelle, di aver rimesso in gioco il senso di sicurezza e del controllo. Come scrive Roberto Re nel suo libro “Cambiare senza paura”, impari a convivere sereno con l’incertezza.
Domanda: nonostante una puntigliosa pianificazione che dura mesi, come fa un atleta a prevedere tutti gli accadimenti di un Tour de France? Come riesce ad anticipare le emozioni e le reazioni fisiche che lo assaliranno quel tale giorno su quella tale salita? A immaginare il modo in cui le gambe risponderanno nella volata lungo il rettilineo finale?
Per questo trovo interessante che gli appassionati di mental coaching sportivo si abituino ad analizzare le gare di ciclismo, osservandole come metafore mentali su cui poter poi lavorare in allenamento, insieme ai propri atleti. Qualche esempio?
Classiche
Le classiche nel ciclismo su strada sono le più importanti corse in linea di un giorno. Stiamo parlando della Milano-Sanremo, della Parigi-Roubaix, del Giro delle Fiandre (sul massacrante pavé) e di altre famose competizioni, come la Liegi-Bastogne-Liegi, corsa per la prima volta nel 1892. Nelle classiche – a differenza delle corse a tappe, dove è invece necessario pianificare la gestione delle risorse fisiche sul lungo periodo – l’atleta deve ragionare avendo di fronte un obiettivo a breve termine (300 chilometri da percorrere in circa sette ore). Una classica è la metafora di un traguardo a portata di mano, come una finale di calcio della Champions League. Un ciclista va a letto la sera prima vedendo se stesso sul podio a distanza di poche ore. La tensione è altissima, già si respira il cosiddetto “odore del sangue”. Via dalla mente dunque ogni orpello superfluo, ogni minima interferenza che possa distogliere il protagonista dal visualizzare la linea del traguardo (con l’eccezione di qualche micro-obiettivo intermedio, come la salita più alta o la discesa dove si rischia). Nella testa dell’atleta si svolge un’altra partita, basata sui pensieri che fa, sulle parole che si dice, sulle immagini che vede mentre sta svolgendo la performance, sulle sensazioni che prova e su dove è focalizzata la sua mente. A parità di condizioni, di potenziale tecnico, tattico e fisico, quando sarà “in the zone” (o “in the flow”) sarà al massimo delle sue potenzialità, della concentrazione e del focus.
Pianura
Nel ciclismo la pianura è la fase di interregno tra situazioni che devono accadere. È il momento del “pilota automatico”, dello stare in gruppo e osservare cosa accade fra gli avversari. I quali fra di loro si parlano, si scambiano strategie, iniziano a provare movimenti. È un passaggio interessante perché ci si abitua all’osservazione esterna, si crea un certo rapporto tra compagni e antagonisti. Contemporaneamente ci si può dedicare alla percezione interna: in quei momenti l’atleta inizia a rendersi conto di come sta realmente dal punto di vista fisico, di quanto potrà spendere e di quante energie dovrà invece risparmiare per le tappe successive o le salite. Che prima o poi arriveranno.
Salita
Come nel flusso narrativo delle storie, con la salita cominciano le sfide impegnative. Dopo un’iniziale fase di assestamento, di studio reciproco delle situazioni, con la salita partono le iniziative individuali. Ci si mette in gioco a livello singolo o di squadra, si iniziano a testare gli avversari con piccole fughe in avanti, necessarie a sfrondare il gruppo e selezionare la cerchia dei migliori. È una metafora di come nella vita (sportiva e non) quando arrivano le difficoltà, non tutti riescono a “scattare” allo stesso modo, con le medesime energie. In salita ci si fida molto di se stessi perché il focus è tutto incentrato sulla pendenza e sulla reazione delle gambe. Se qualcuno ti sorpassa, vuol dire che in quel momento ne ha di più. Ma la mente deve restare lo stesso lucida, non cedere alle credenze negative e al dialogo interno che vorrebbe farti rallentare (“tanto lui è più forte e non riuscirai a raggiungerlo”). Mai mollare, perché alla curva successiva chi sta davanti potrebbe scoppiare. E dimostrare come… una rondine non fa primavera.
Discesa
Qui l’atleta non può permettersi di allentare la tensione, di rilassarsi “dato che le gambe sono ferme e non pedalano”. È proprio nelle discese che la concentrazione deve restare massima: non si può sbagliare neppure un movimento, un’inclinazione, una micro-frenata. Un essere umano che sfiora i 100 chilometri orari su due ruote (senza la protezione dei motociclisti) rischia realmente la vita. La discesa però è importante perché tira fuori le nostre paure e le mette alla prova: i più coraggiosi e temerari – non gli spavaldi e gli incoscienti – riescono a riguadagnare posizioni o ad aumentare il loro vantaggio sugli inseguitori. La discesa non permette fisiologie intermedie, è come il volo con un paracadute: sei controvento, a volte con l’asfalto bagnato! Come per un giocatore di biliardo, devi indovinare la traiettoria giusta (che spesso è larga pochi centimetri). Insomma, una fase di grande presenza mentale per l’atleta, il quale insieme al suo coach dovrà preparare per tempo le adeguate strategie, indispensabili a… restare in sella!
Cronometro
La cosiddetta “cronometro” è una tappa particolare “contro il tempo”, una gara in cui ogni corridore parte separatamente dagli altri per coprire il percorso. Un appuntamento dove la classifica finale viene stilata in base al minor tempo impiegato da ciascuno. Rispetto alla competizione di gruppo, qui l’atleta corre da solo. Solo contro il tempo. Mentalmente è un approccio molto diverso, dove il sistema di credenze installate nel corso degli anni gioca un ruolo fondamentale. Il ciclista inizia a dialogare con se stesso facendosi domande del tipo: “Cosa sono capace di fare?” “Dove posso arrivare?” “Cosa mi distingue dagli altri?”. In questi casi subentrano anche livelli di credenze più profonde, come quelli relativi alla fede (su temi spirituali e non solo). È molto importante anche aver “sistemato” alcuni ancoraggi positivi per reagire alle avversità della gara: se il polpaccio inizia a tirare, qual è l’azione corretta da fare? E soprattutto, qual è il pensiero giusto su cui mi devo focalizzare per non entrare in crisi? In una cronometro, leggendo alcune interviste di campioni che la prediligono come competizione, emerge anche il senso del dovere e dell’impegno verso il proprio team con cui si è lavorato insieme, verso il pubblico mediatico, addirittura verso gli sponsor. È come se l’eroe si dicesse: se non riesco a farlo per me stesso, lo voglio fare per chi ha creduto in me fino a questo punto. La cronometro – gara terribile che misura effettivamente la potenza ciclistica di un atleta – alla fine è una prova di reputazione. In base a quanto dimostri di valere, la tua autostima e quella dell’ambiente che ti circonda aumenterà (o diminuirà) di conseguenza.
Volata
Scusate la metafora, ma la volata verso il traguardo è un po’ l’orgasmo finale al termine di un percorso fatto di alti e bassi, di stati d’animo altalenanti e in contrasto fra di loro. È importante il tempismo (capire quando partire per lo scatto finale, né troppo in anticipo, né troppo in ritardo), è fondamentale la coordinazione e la fisiologia per scattare in piedi sui pedali. È decisivo lo sguardo verso l’obiettivo: uno reale che punta allo striscione dell’ARRIVO e uno interiore che dirige le proprie EMOZIONI come una sinfonia, all’unisono, senza interferenze né dissonanze. La volata è la fase in cui tutto il mondo ci sta guardando (spesso il pubblico televisivo non segue l’intera gara, ma si riconnette al momento dello scatto finale) ed è quindi l’attimo in cui l’atleta riesce a soddisfare il bisogno di importanza, di amore reciproco per i tifosi, di crescita e contributo nel riuscire a portare a casa la vittoria. La volata è ciò per cui un ragazzino sale in sella e decide di diventare un ciclista professionista. Magari non tutti raggiungeranno le abilità di uno “sprinter”, non tutti segneranno valanghe di gol a partita. Qualcuno farà il gregario, il mediano, l’assist-man, come nella vita. Ma il sogno, quello di alzarsi sui pedali e sentirsi spinti dal vento, superando qualunque avversità, quello resterà indelebile nel nostro cuore.