
Sul comodino di ogni atleta o mental coach sportivo, un piccolo spazio andrebbe sempre lasciato per un libro sulla resilienza. Pagine che ti parlino di storie e persone partite da zero, che ce l’hanno fatta nonostante tutto e tutti. Uno di questi libri è tornato ora di grande attualità: è l’autobiografia di Zlatan Ibrahimovic (“Io, Ibra“, edito da Rizzoli), lo svedese appena rientrato in pompa magna a Milano, sponda rossonera. Dal ghetto delle periferie degradate svedesi fino al successo mondiale, quella di Ibra è una storia di forza di volontà, di studio maniacale nel guardare i video dei grandi giocatori brasiliani cercando di ripeterne le azioni ogni giorno, nel campetto infangato sotto casa, circondato da palazzoni popolari.

Il libro trasuda di episodi e racconti legati alla determinazione, all’ossessione per la perfezione stilistica, alla capacità di scontrarsi con l’opinione della maggioranza, degli allenatori e dei media. Sulla scia di tormentoni che ne hanno rinforzato il personal branding (“Zlatan è uno che nell’intervallo prende i compagni svogliati e li appende al muro”), abbiamo spesso scambiato la sua forza di carattere per arroganza. Ma in ogni caso, per superare gli ostacoli e permettere al difficile adolescente svedese, figlio di immigrati jugoslavi, di emergere e diventare il terzo giocatore al mondo per numero di trofei conquistati, l’aspetto mentale ha giocato un ruolo decisivo.

Dopo l’esordio nel giorno della Befana (quasi quaranta minuti giocati in Milan-Sampdoria 0-0), mentre i tifosi rossoneri erano elettrizzati dal suo ritorno sul prato di San Siro (nonostante i dubbi degli addetti ai lavori sulla tenuta fisica di un atleta di 38 anni), Ibrahimovic a fine partita ha detto di aver provato tanta emozione e adrenalina: “Sensazioni che mi hanno riportato indietro di dieci anni, ai tempi in cui giocavo qui. Emozioni che mi fanno venire la voglia di giocare per altri dieci anni”. Poi, con la sua “modestia innata” ha aggiunto: “Avrei voluto segnare per fare il gesto di Dio sotto la curva, ma sono sicuro che il gol arriverà”. La grinta, oltre che in campo, è venuta fuori quando ha spiegato il momento-no del Milan: “Si vede che manca fiducia e cattiveria in fase di finalizzazione, proverò a iniettarla in ogni mio compagno. Siamo poco concreti: quando ti arriva l’occasione devi andarci per ammazzare. È ovvio che i tifosi non siano contenti per i risultati: dobbiamo allenarci, soffrire e dare il massimo”.
