Chi segue con attenzione i progressi del giovane talento argentino in maglia bianconera avrà notato che il ragazzo da qualche settimana ha ritrovato il suo sorriso migliore. La mente è sgombra e i piedi sono ritornati a fare quello che lui desidera: divertire la gente con quintali di talento. La cartina di tornasole del suo disagio emotivo era proprio quell’espressione seriosa, quella facciata di ghiaccio che dal mese di agosto Dybala aveva deciso di indossare. Sostituendo la maschera di esultanza, giocosa e universalmente riprodotta dai tifosi, con cui festeggiava ogni rete, portandosi la mano aperta a nascondere la bocca.
Eliminati i sorrisi sbarazzini da eterno fanciullo, messa da parte la spavalderia da funambolo di Laguna Larga, Paulino Bruno Exequiel aveva inquietato i suoi fan adottando una nuova e più adulta postura del viso. Quella faccia in realtà era un messaggio, un manifesto cinestesico rivolto alla società e al nuovo allenatore: quel Maurizio Sarri che secondo la vulgata avrebbe chiesto la cessione estiva di Higuain e dello stesso Dybala. “La Juve mi vuole vendere?” era il sotto-testo, mai pronunciato apertamente perché il ragazzo non è ingenuo “ma io sono rimasto per dimostrare che su di me si sbagliano. Che NON sono un ragazzino piantagrane, come molti sostengono. Che non è vero che in allenamento mi sento superiore e tendo a snobbare la fatica. Che è falsa l’idea che avrei cercato di blandire CR7 dopo il suo arrivo, per conquistare un posto di privilegio nella cerchia dei suoi preferiti. Basta con questa lagna che i sudamericani non sono professionisti degni del calcio europeo“.
Va da sé che le voci intorno a un campioncino di caratura internazionale girano a velocità della luce. I ragazzi più deboli e meno strutturati (conoscete il progetto Champions Lab?) finiscono per subirne le implicazioni negative. Dybala ha rischiato di restare vittima di queste dicerie, che facevano coppia con lo scarso rendimento in campo della scorsa stagione. Ma iniziare a lavorare con un mental coach ha fatto tutta la differenza: lui stesso lo ha dichiarato, spiegando che con un professionista al suo fianco si sente più sicuro e non teme attacchi all’autostima. “Ho un mental coach – ha spiegato Paulo – ma non è come uno psicologo: è un lavoro che faccio per imparare cose nuove e vedere quello che mi succede in maniera diversa“.
Cambiare punto di vista, aprirsi alle novità e alle sfide, come strumento di crescita personale e di rafforzamento del proprio carattere. Dybala in campo è tornato a guardare in faccia le battaglie senza maschere, a mettere la gamba dove serve, a tirar fuori il “deseo de ganar”, la grinta e il coraggio di chi deve conquistarsi il posto senza vacillare. Paradossalmente l’arrivo di Cristiano Ronaldo ha spronato gli argentini (Higuain e Dybala) a competere con il numero uno, idioma español contro língua portuguesa. Abbracci e sgomitate per prendersi la scena, specie quando CR7 resta fuori per problemi fisici (e mentali?)
E va bene che ai tifosi più anziani ricorderà Omar Sivori (un argentino anche lui tutto sinistro, fuoriclasse indiscusso, genio e provocazione nella Juve degli anni 50-60), che a quelli un po’ più giovani farà pensare a Roberto Baggio (serpentine repentine, classe e balistica nelle punizioni). Però alla Juve – società concreta, forse troppo – interessa il valore economico del gioiellino, detto appunto “la Joya” che in lingua spagnola significa “gioiello, prezioso”: dai 150 milioni di due stagioni fa (quella in cui nei quarti di Champions mise in ginocchio il Barcellona di Messi con un’epica doppietta) la sua valutazione si era dimezzata (l’anno scorso Allegri lo aveva allontanato dalla porta, mettendolo dietro a Ronaldo e costringendolo a segnare meno gol). Ora Paulino è ritornato sulle vette del mercato, Real Madrid e Barcellona lo vorrebbero a tutti i costi, la pressione mediatica è tornata a essere asfissiante.
Ma ora Dybala – grazie anche al mental coaching – sa resistere alla tentazione di sentirsi al di sopra di tutti. È consapevole della sua forza, ma non gigioneggia più come un tempo. Se ne frega dei paragoni con Messi e CR7, due marziani che all’età di Paulino erano già in grado di incidere su una finale internazionale. Con Sarri ha ritrovato l’intesa sul terreno della fiducia reciproca, ha capito che deve tornare a lasciare la testa libera di cercare l’istinto, l’ispirazione, il divertimento. Quell’estetica del calcio che manda in visibilio milioni di tifosi – anche di altre squadre – che gli riconoscono la capacità di saper inventare magie da cineteca.
Poi c’è il finale dolce per gli amanti dello storytelling. Le due donne che lo circondano, mamma Alicia e la giovane compagna Oriana, due femmine toste e volitive che consolidano il suo umore nei momenti più complicati. La nuova fidanzata (che folle di ragazzine vorrebbero sgozzare) ha aperto il suo cuore rendendolo più aperto e solare. Sarà perché Oriana in Argentina è famosa quasi quanto lui: a 23 anni è un’artista affermata, cantante e attrice di serie tv, con 4 milioni di follower su Instagram e un’indifferenza verso il mondo del calcio. Lei stessa in un’intervista ha raccontato che quando la Joya le mandò il primo whatsApp per invitarla a uscire, lei ignorava chi fosse. “Chiesi a mio padre: conosci questo… Paulo… Dybala?”. Il padre per poco non svenne dalle risate. Paulino invece accettò la sfida e prese la mira per superare la barriera del suo cuore. Se volete fare un ripassino su Instagram, basta andare sul profilo “Dybatini” (oltre 20mila follower), una fan page che racconta i Ferragnez argentini dalla A alla Z. Telenovela in salsa bianconera.