Calcio

Antonio Conte, un “animale” da campo nato allenatore

By 2 Ottobre 2019Maggio 24th, 2022No Comments

Per molti vedere l’Inter di Antonio Conte in testa alla classifica, a punteggio pieno dopo sei giornate di campionato, è una sorpresa. Si sapeva che l’Inter di Marotta aveva fatto il colpaccio d’estate, ingaggiando un allenatore che per molti è il migliore al mondo, ma nessuno forse avrebbe scommesso al cento per cento su una partenza così tosta, uno sprint da centometrista che finora non ha lasciato margini agli avversari.

Conte però non è un velocista puro. È uno che sa lavorare alla distanza, e il suo palmares lo dimostra:

  • 1 vittoria nel campionato di serie B (Bari, 2009)
  • 3 scudetti con la Juventus (2012, 2013, 2014)
  • 2 supercoppe italiane (Juventus: 2012, 2013)
  • 1 vittoria in Premier League con il Chelsea (2017)
  • 1 vittoria in Coppa d’Inghilterra (Chelsea, 2018)

Ogni allenatore, dal più famoso al tecnico in erba, guarda ad Antonio Conte come un mental coach. Perché è quello il suo punto di forza: cercare di migliorare i suoi giocatori da ogni punto di vista. “Testa, cuore e gambe” si chiama il suo libro, uscito nel 2013. È dalla testa che lui comincia a influenzare i calciatori: lentamente, inesorabilmente, incessantemente.

Qualcuno potrebbe rigettare questo pressing asfissiante. Non pochi atleti hanno dipinto Conte come un “maniaco” del football. Molti però hanno riconosciuto che il ruolo di un allenatore è quello di saper individuare (e di conseguenza tirare fuori) il meglio che è nascosto all’interno di un professionista. Spesso il tecnico salentino riesce a scovare doti morali e caratteristiche tecniche che mai nessuno prima aveva individuato. “È uno che cerca di migliorarti, da tutti i punti di vista” ha detto Mirko Vučinić, che lo ha avuto come mister alla Juve dal 2011 al 2014.

Come mental coach, Conte sa come si parla ai giocatori, sa come si tira fuori il massimo e tatticamente ti spiega tutto nel dettaglio. Per lui ogni partita è una finale, vuole sempre vincere, non si accontenta mai. “È un animale da campo” ha detto di lui Daniele De Rossi, che lo ha visto come tecnico avversario e come CT della Nazionale. A qualcuno (Rino Gattuso) Conte ricorda Al Pacino in Ogni maledetta domenica, capace di parlare alla squadra da vero leader. Sta di fatto che vive in maniera totalizzante la propria esperienza, indossando al meglio i colori del proprio club.

Il temperamento di Antonio Conte

Il calcio in particolare, proprio in conseguenza dei grandi cambiamenti che lo stanno trasformando in show business (più che in spettacolo sportivo), ha bisogno di bandiere, di punti di riferimento. Darwin Pastorin, giornalista di fede juventina, ha scritto: “Sentirti urlare, rimproverare il tuo giocatore che, a pochi minuti dalla fine, sul 4-0 a vostro favore, sbaglia un passaggio elementare, infine provare a rispondere alle domande senza più un filo di voce, perché per tutto il match ‘giochi’ anche tu, non ti risparmi, sei fuoco e rabbia, grinta e furore“.

Le squadre di Conte si riconoscono, non solo per il temperamento. Jupp Heynckes (l’allenatore del Bayern Monaco che ha vinto la Champions nel 2013) affrontando la Juventus disse: “Guardando la sua squadra, si vede la mano del tecnico, la sua firma. È una squadra omogenea, unita: si vede anche dal linguaggio corporale dei giocatori, lasciano poco spazio, atteggiamento difensivo di grande qualità, ma anche fantasia nel creare gioco offensivo“.

Il linguaggio corporale dei giocatori è un concetto interessante, perché riflette l’importanza che Conte riserva all’identità tattica di una squadra. La sua Juventus, il suo Chelsea, per certi versi la Nazionale, in parte la sua Inter, hanno un marchio di fabbrica riconoscibilissimo: un sistema meccanico, basato su “pattern” di gioco provati e riprovati fino alla noia nel corso degli allenamenti, con compiti specifici e ben definiti all’interno di giocate preconfezionate, che vengono interiorizzate in allenamento.

Prendere le decisioni è una vocazione

Il suo vero punto di forza è che Conte è nato allenatore. Per lui la carriera di calciatore era solo una prova generale, un ponte per arrivare alla panchina, che è il vero centro di comando per uno abituato a dirigere. Lui stesso lo ha detto: “Non ho mai pensato di essere un grandissimo giocatore mentre ho sempre saputo che sarei diventato un allenatore. Già da Lecce quando giocavo nella primavera e allenavo la squadra di mio fratello. Era una vocazione. Sono portato a dare un indirizzo. Un metodo. Indicare una squadra. Prendere le decisioni“.

I giocatori lo sanno: se vogliono essere schierati la domenica in campo, devono uscire fuori dall’allenamento con la maglietta intrisa di sudore. “Quando si giocano sette partite in un mese – ha spiegato Conte – e vuoi giocarle ad alti livelli, ti devi preparare molto bene. Non ho mai visto nessuno andare a mille all’ora in partita e a cento durante l’allenamento. Il giocatore capisce che tutto è organizzato per il suo bene. Sul momento fa fatica, ma quando vede i frutti è contento. Nessuno è mai uscito dal campo di allenamento con il sorriso“.

Troppo duro? Forse. Ma moltissimi sui ex giocatori lo difendono. “Conte? È un fenomeno – ha detto Angelo Ogbonna, che lo ha avuto alla Juve e in Nazionale – È l’allenatore dell’intensità. Lui guida uomini, non primedonne. Ti tiene sulla corda senza sosta perché ritiene che sia la strategia migliore per ottenere sempre il massimo“. Al Chelsea, David Luiz ha spiegato che Conte conosce perfettamente tutte le caratteristiche dei suoi giocatori: “Noi lo seguiamo nelle indicazioni che ci dà sul campo. È un allenatore che ama quello che fa e ci ha ‘infettati’ tutti con l’amore per il calcio“.

L’altro punto di forza è sapere perfettamente che se sei uno che non si accontenta, diventerai antipatico a molti. “Chi vince scrive la storia – ha detto – chi arriva secondo ha fatto un buon campionato. Il futuro lo costruisci nel presente. Specialmente in Italia è impossibile essere vincenti senza essere antipatici. Se hai paura di esporti, ti devi rassegnare a vivere nell’anonimato“. E per lui sarebbe la morte sportiva.

Alessandro Dattilo

Alessandro Dattilo

Giornalista, storyteller, blogger, formatore, ghostwriter. Aiuta aziende e professionisti a raccontare la loro storia, a trasferirla sul web, a farla diventare un libro. Tiene seminari su Brand Journalism e Scrittura Efficace per il Business. Oggi è Senior Content Manager per Roberto Re Leadership School e Stand Out – The Personal Branding Company e docente del programma HRD – Da Manager a Leader. Fondatore di TorinoStorytelling e RomaStorytelling, ha scritto e parlato per quotidiani nazionali, network radiofonici e tv locali. Sul web ha lavorato come consulente editoriale e content manager per il Gruppo Enel, Ferrovie dello Stato, Treccani, Ferpi, Fastweb, Reale Mutua, Comin & Partners e molti altri. Per Mondadori ha pubblicato nel 2014 il libro "Scrittura Vincente", una guida pratica su come usare la parola scritta per raggiungere più facilmente i propri obiettivi in campo aziendale, commerciale, professionale.

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