La telenovela degli stati d’animo era iniziata a poche ore dall’inizio della gara dell’Argentina contro la Croazia. La madre di Lionel Messi, Celia Cuccittini, spiegava a una televisione argentina che suo figlio soffre tantissimo per le critiche che riceve: “Molti pensano che lui non voglia giocare in Nazionale e che lo fa solo perché è obbligato. Ma noi lo conosciamo, lo vediamo piangere ogni volta”. Lacrime esibite, sofferenze, gioco delle parti. Sipario che si apre.
Di sicuro, dopo il passo falso nella partita d’esordio contro i dilettanti dell’Islanda (mancata vittoria proprio a causa di un rigore sbagliato da Messi), il campione sudamericano era entrato nella spirale negativa, un perimetro dove la mente amplifica le pressioni all’inverosimile. Immaginiamo il dialogo interno di Messi che, in ogni momento della giornata, gli ripete come un mantra: “Caro Lionel, la sorte emotiva di 42 milioni di connazionali è tutta nei tuoi piedi”. Una tensione da far tremare i polsi.
Fra l’altro, che sarebbe stata una serata da brividi (brividi poi trasformati in angoscia, visto che la Croazia ha demolito l’Argentina per 3-0) lo si era intuito fin dagli inni nazionali, quando la “Pulce” è sembrata ancora più piccola in mondovisione. Il suo linguaggio del corpo – che un leader dovrebbe utilizzare con l’energia massima del momento, come sprone per i compagni e per i propri tifosi sugli spalti – era invece quello di un ragazzo in crisi, con gli occhi chiusi rivolti verso il basso e le mani che sfregavano la fronte, come per cancellare un brutto sogno che stava per diventare realtà. Presagio!
Identità falsata
Al termine della sconfitta, ora che c’è il serio rischio che la Nazionale argentina venga eliminata già nella prima fase, insieme ai soliti tweet irridenti (“Messi male”, “La Messi è finita”), ci viene in mente che lo psicodramma è figlio di una batosta che l’Argentina aveva subito in amichevole dalla Spagna nel marzo scorso: sei reti a uno, una grandine che aveva instillato la paura di non riuscire a stare al passo con le grandi.
Ecco questo è un altro punto: le credenze legate all’identità. È vero che da diversi Mondiali i biancocelesti arrivano spesso in finale o comunque fra le prime. Ma è ancora più vero che non vincono un titolo intercontinentale da 32 anni, né una Coppa America da 25. Insomma, l’Argentina si sente una grande, scende in campo con la prosopopea da grande, ma poi si comporta da immatura e resta a un passo dalla gloria.
Altri protagonisti
Come contraltare a Messi, nella narrazione della serata-incubo contro la Croazia, va rilevata la presenza in tribuna di Diego Maradona, un simbolo che crea una pressione eccessiva visto il continuo confronto tra la qualità dell’ex campione e quelle del “mai maturo leader” Messi. Senso di inferiorità.
In campo, invece, chi ha interpretato mentalmente il proprio ruolo nel peggiore dei modi sono due fra i protagonisti argentini. Il tecnico dell’Argentina Sampaoli, che oltre alle discutibili scelte nella formazione, ha mostrato agitazione e rabbia fin dai primi minuti: e questo non aiuta una squadra che deve reggere l’equilibrio nervoso, senza cadere nel tranello degli astuti giganti croati.
L’altro, che ha veramente compromesso tutto, è il portiere Caballero: sua la follia con la quale consegna il pallone a Rebic, autore della prima rete. Suo il gesto di qualcuno che non è lucido nella tenuta mentale e dimostra supponenza e ipotetica superiorità. Peccato che ai Mondiali non ci si possa rilassare credendo di avere di fronte gente scarsa. Peccato che l’Argentina – solitamente protagonista non solo per il gioco ma anche per la passione e il furore agonistico (vero esempio per i ragazzi di tutto il mondo) – questa volta rischia di andare a casa presto. O di far morire di crepacuore un intero popolo fino all’ultimo spiraglio di qualificazione.