“Mbappé era uno degli allievi più promettenti della Promo – ricorda il Direttore dell’INF, Jean Claude Lafargue – Lo avevamo notato subito, fin dalle prime selezioni”. A tredici anni erano già chiare a tutti le sue doti fuori dal comune: “Andava al doppio della velocità dei compagni e con la palla tra i piedi era semplicemente inarrestabile!”.
È vero, non abbiamo la controprova. Ma siamo così certi che nel 2015, appena due anni dopo la fine del corso, Mbappé avrebbe ugualmente debuttato in Ligue1 con la maglia del Monaco? Senza il lavoro atletico e mentale svolto insieme ai coach dell’INF, sarebbe diventato il calciatore più giovane ad aver giocato una partita ufficiale con il club monegasco?
C’è un segreto che non è più tanto segreto dietro la vittoria dei Garçons della Francia nei Mondiali 2018. I giovani più rappresentativi della Nazionale allenata da Deschamps (Pogba, Griezmann, Lemar, Mbappé, ma anche Coman, Dembélé, Payet) sono cresciuti calcisticamente e mentalmente fra le mura dell’INF, l’Institut National de Football, il centro tecnico federale di Clairefontaine che da circa trent’anni sforna talenti a ripetizione, secondo un programma che mescola preparazione tecnica e disciplina agonistico-caratteriale.
Non è un’accademia militare, ma per certi ragazzini di famiglie provenienti da ex colonie francesi rappresenta un porto sicuro dove costruirsi una carriera sportiva e restare lontani da disoccupazione e criminalità, tipiche di contesti svantaggiati come le periferie parigine. In un’età così delicata, il talento individuale viene mentalmente sorretto da un entourage di tecnici e coach preparatissimi: il futuro calciatore maturerà così le indispensabili qualità umane necessarie per emergere nel calcio professionistico degli anni Duemila.
Senza un’organizzazione che parte da lontano, non si vince con merito una Coppa del Mondo battendo Argentina, Uruguay, Belgio e Croazia. Come scrive Paolo Tomaselli sul Corriere della Sera, “non c’è improvvisazione nella gioventù portata al potere da Didier Deschamps”. Non manca certo il talento, l’energia da spostare le montagne, un pizzico di incoscienza. Ma come sostiene Mourinho, uno che di calcio ne capisce, “i giocatori francesi sono pronti sia fisicamente che dal punto di vista mentale”.
Ecco perché aver portato un teenager – dopo Pelé nel 1958 – a segnare nella finale di un Mondiale (Mbappé ha solo 19 anni) esalta ancora di più il modello di Clairefontaine, tempio del talento calcistico inaugurato alle porte di Parigi nel lontano 1978. L’INF – che accoglie da allora i migliori futuri campioni tra i 13 e i 15 anni – è stato un punto di passaggio anche per Matuidi, per il terzo portiere Areola, per Varane (da stagista). Di fatto, la maggioranza della Francia campione del mondo è il prodotto delle accademie di PSG, Lione, Lens, Marsiglia o Nizza, succursali decentrate che devono comunque seguire le linee operative della sede principale.
“Abbiamo capito – spiega ancora il direttore Lafargue – che i ragazzini non vanno forzati a crescere atleticamente, ma vanno accompagnati lentamente nella loro maturazione fisica. La differenza la fa il cervello, che deve essere programmato nell’età giusta per formare un calciatore professionista. Sia come mentalità ed educazione, che come velocità di pensiero e di azione sul campo. Cerchiamo insomma di renderli calcisticamente intelligenti: li facciamo pensare”.
A Clairefontaine ogni anno si presentano più di duemila ragazzi (che devono avere almeno tredici anni ed essere in regola con gli studi). Solo 23 di loro hanno l’opportunità di allenarsi a fianco della Nazionale maggiore per i due anni successivi, rimanendo con i piedi per terra, continuando a studiare e a rafforzare la propria solidità mentale. “Non possiedo il talento di Messi – dice Matuidi, che da attaccante poco tecnico è stato valorizzato nel ruolo di centrocampista resistente e dotato di tempismo – ma penso che senza gli anni all’INF non avrei potuto giocare in Champions League o in Nazionale. Coach Lafargue mi ha indicato la strada da percorrere dandomi i consigli giusti per diventare quello che sono oggi”.
In questo senso, il sistema francese è stato precursore di quello catalano e tedesco, che oggi sono considerati un esempio in tutto il mondo. Dice André Merelle, ex direttore dell’Institut: “Il Barcellona ci ha copiato. Una volta Guardiola mi disse che ammirava molto il nostro lavoro all’INF, i metodi che utilizzavamo. Mi disse che da allenatore avrebbe allenato i suoi ragazzi esattamente come facevamo noi a Clairefontaine”. Verità o solita grandeur?