
Che succede, come titola oggi il Corriere della Sera, a Capitan Mistero? Dov’è finita la sua capacità mentale di restare lucido di fronte a qualsiasi pressione o fase critica di gioco?
Il caso Bonucci è finito su tutte le prime pagine dei giornali sportivi. Il Giudice lo ha squalificato per due giornate per “condotta gravemente antisportiva”. Leo è colpevole di aver colpito con una gomitata al volto un calciatore del Genoa. Il capitano del Milan quindi salterà le prossime due partite: contro il Chievo e, soprattutto, contro la Juventus, sua ex squadra.
Fin qui la cronaca. Parafrasando il celebre romanzo di Gabriel García Márquez, potremmo definirla come la cronaca di una CRISI annunciata. Perché il numero 19 dei rossoneri sta perdendo colpi da settimane, anzi da inizio stagione.
Tutti si chiedono cosa stia accadendo all’ex colonna della BBC (Barzagli, Bonucci, Chiellini). Sarebbe dovuto essere il simbolo della rinascita del Milan di Montella, la pietra angolare su cui costruire un nuovo ciclo rispondendo allo strapotere della Juventus. Oggi Bonucci è più il simbolo della crisi rossonera, tredici punti in nove gare, dodici di distanza dal Napoli capolista.
Strapagato dalla dirigenza cinese (42 milioni alla Juve, più un contratto da 5 anni a 10 milioni), diventato capitano al suo primo anno al Milan. Quale campione non si sarebbe sentito schiacciato dalle critiche, dalla responsabilità di dover rispondere lui per primo alle sconfitte?
Tentiamo una veloce analisi. In questi primi mesi milanisti, Leo ha sofferto il cambio di lavoro atletico, che ha portato tra l’altro alla sostituzione del preparatore Marra. Prime incrinature quindi sotto il profilo delle sicurezze atletiche. Quando un atleta è in debito di energie, è mentalmente sorretto dalla credenza di poter attingere alle proprie riserve fisiche. Se queste però vengono meno, a causa di una sbagliata preparazione atletica, è chiaro che lo stato d’animo diventa difficile da gestire, specie nei momenti critici di una gara. Il suo dialogo interno comincia a sussurrargli nella mente frasi del tipo “Il serbatoio di energie è vuoto, tra poco resterai in riserva…”.
Il suo motivatore (così viene nominato il mental coach Alberto Ferrarini, che lo segue dai tempi del Treviso) in un’intervista ha avvalorato la tesi dell’eccesso di responsabilità. “L’accoglienza al Milan ha spedito il suo ego al 50° piano di un grattacielo” ha detto, alludendo al fatto che indossare la fascia di capitano non fa per lui.
Bonucci si è dissociato da queste parole. Ma secondo noi il mental coach non sbaglia quando sostiene che Leo deve tornare a fare il soldato, perché è un atleta focalizzato più su stesso che sui compagni di squadra. “Lui – dice Ferrarini – deve fare Bonucci, punto. Questo bagno di umiltà gli ha fatto anche tanto bene. Bonucci non è nato campione: è diventato un campione”.
Interessante questo passaggio, che ci fa capire meglio quali potrebbero essere le credenze che il difensore rossonero ha maturato nel tempo. È probabile che la sua identità gli suggerisca di riuscire meglio come “soldato” piuttosto che come “capitano”. Parliamo di una persona nata con mezzi atletici normali, con una classe calcistica cresciuta nel tempo, che probabilmente deve i suoi successi anche alla qualità dei compagni, al rendimento di chi gli gioca a fianco. La Juve intera negli scorsi anni girava a mille. Oggi il Milan fatica a trovare un gioco e quindi Bonucci non ha più nessuno intorno con cui condividere lo stress dei momenti caldi di una gara.
Ultimo aspetto, quello del Bonucci “privato”. Chi lo frequenta fuori dal campo parla di un ragazzo educato, gentile, a disposizione. Sui social network è attivissimo e di fatto trascina con il suo carisma mediatico moltissimi fan delle squadre in cui ha militato. In campo invece si mette in evidenza come uno… non proprio simpatico, discute ogni cosa con chiunque, arbitri compresi. Qual è il vero Leo? Può darsi che in gara si imponga di essere un personaggio più sicuro e grintoso di quanto lo sia veramente. Queste possibili discrepanze mentali potrebbero alla lunga pesare sulle sue possibilità di risalire la china?
In sintesi, la chiusura spetta a chi di calcio ne scrive da una vita. Mario Sconcerti sul Corriere della Sera parla così del caso Bonucci: “Dal punto di vista tecnico non può essere un problema. Bonucci ha giocato 300 partite nella Juve, sappiamo chi è e cosa vale, esattamente. I fondamentali non cambiano, cambia semmai la mente di chi li usa”.
“Non esiste uno stretto lato tecnico – continua Sconcerti – che non coinvolga uno stretto lato psicologico. Bonucci adesso è un emigrante, sa cosa ha lasciato, non capisce cosa sta trovando. Pensa troppo mentre gioca, non è libero. Quello che si vede è la mancanza di sicurezza che lo porta all’errore”.
In pratica, rispetto ad altri compagni in crisi, le sue difficolta sono solo più evidenti perché portate da un giocatore famoso, ben pagato e proveniente da una squadra molto avversaria. Un po’ di compiacimento nel vederlo giocar male, c’è. Speriamo per lui che la società e l’allenatore abbiano la pazienza di aspettarlo. Bonucci intanto, insieme al recupero atletico, dovrà cercare di risistemare le sue credenze, il dialogo interno e la capacità di focalizzarsi in un nuovo ruolo. Che potrebbe consacrarlo come un campione vero.