
La dedica finale di Eder, il portoghese di origine africana che ha deciso l’Europeo di calcio, è stata per Susana Torres, la sua mental coach. Evidentemente è anche grazie a lei che Éderzito António Macedo Lopes non ha mai smesso di crederci. Perfino in quello che non aveva mai neppure sognato.
Sono stati Europei intensi anche sotto l’aspetto emotivo, non solo dunque per le giocate tecniche o i gol capolavoro. Ricorderemo nel tempo le lacrime di Cristiano Ronaldo, azzoppato da un avversario all’ottavo minuto di gioco dall’inizio della finale. Il pianto triste e rabbioso di chi è costretto ad abbandonare il campo e lasciare i suoi compagni in balìa del destino. Ma le lacrime – segno indistinguibile di una gestione più matura degli stati d’animo – le abbiamo viste anche sul viso di Antonio Conte, di Buffon e di Barzagli. Campioni al termine di un ciclo, delusi per aver sfiorato la vittoria ai rigori e responsabili di un atteggiamento trasparente nei confronti dei tifosi.
Anche l’epilogo – il piccolo Portogallo che sconfigge la “grande” Francia, favorita e padrona di casa – è frutto di credenze mentali che hanno sostenuto i lusitani fino all’ultimo: la convinzione di farcela nonostante l’abbandono del leader Cristiano Ronaldo, anzi raddoppiando le forze per compensare la perdita del loro capitano.
Da par suo, chi non ha costruito immagini mentali “di riserva” (un piano B che rendesse fluida la consapevolezza della superiorità) è stata proprio la Francia, prigioniera di un incantesimo mentale che l’ha penalizzata davanti al proprio pubblico. Alla fine è sgusciato dal nulla il predestinato Eder, entrato a un quarto d’ora dalla fine e motivato dalla profezia dei compagni di squadra che lo hanno spinto in campo dicendogli “vai e segna!”.
Un torneo che ha messo in evidenza più i comportamenti mentali e il sostegno dei coach rispetto alle capacità tecniche: quest’ultime insufficienti a spingere le favorite (Spagna, Germania, Inghilterra) alla vittoria. È stato il campionato del Galles e dell’Islanda, che ci hanno creduto prima ancora di scendere in campo, così come della modesta Italia, che grazie al gran lavoro di motivazione di Conte è riuscita ad arrivare a un passo dall’impresa.
In un weekend di sport di squadra in copertina, spiccano infine – per la delizia di chi pratica il coaching sportivo – le individualità di grandi campioni, accomunati dalla certezza del proprio valore e da un’autostima che non cessa mai di venir meno, neppure nelle fasi critiche di una performance di livello internazionale. Parliamo di Gianmarco Tamberi, saltatore in alto azzurro, volato sul tetto d’Europa con un 2,32 che gli è valso la medaglia d’oro.
Dello scozzese Andy Murray, trionfatore sul green sempreverde di Wimbledon, che in finale ha bissato il successo del 2013. Ma anche di un eterno Francesco Totti, che dopo i litigi della passata stagione, ha ricevuto dal proprio allenatore Spalletti un’investitura sul campo: “Francesco è tornato con la testa giusta” ha detto il mister. A conferma che nello sport, quando si parla di campioni, è la mente a dirigere il gioco ai massimi livelli. Anche nel caso di Totti che – sebbene quarantenne – è ancora innamorato del pallone con lo stesso entusiasmo di un adolescente.