
Il colosso di Roma a 10-11 anni era un bimbetto che non arrivava al metro e trenta. Lo chiamavano “lo gnomo” e al bar di quartiere, per giocare a flipper, metteva uno sgabello sotto i piedi. Oggi, all’età di quarant’anni compiuti il 27 settembre, sotto i piedi ha un’intera città. Per via di questo anniversario anagrafico, molti narratori ne stanno ripercorrendo le gesta calcistiche: quelle di un campione con la C maiuscola, uomo dentro e fuori dal campo, con le sue unicità, punti di forza, limiti e debolezze.
Francesco Totti per qualunque tifoso della Roma non si discute. Ora meno che mai. Nessuno in maglia giallorossa è stato amato come lui, nessuno riuscirà a fare meglio nell’immaginario dei cuori romanisti, specie in un calcio che è sempre più business e sempre meno passione pura. Totti piace in campo (anche ai tifosi avversari, di qualunque fazione) perché ne riconosci l’abilità, a prescindere dalla squadra a cui appartiene. In pochi minuti – ora il tecnico Spalletti lo fa giocare part-time per gestirne le forze – Francesco ti illustra la sintesi del calcio moderno, il Bignami accelerato di gioco del pallone: un lancio di sessanta metri senza guardare, un guizzo di genialità e anticipo (che spiazza gli avversari e talvolta anche i suoi sostenitori) per mettere un compagno con la palla davanti alla porta. All’essenza del calcio non ci si abitua mai, volontariamente.
Ma Totti piace anche fuori dal campo per via della sua identità, dei suoi valori, semplici e discutibili se vogliamo, ma perfettamente coerenti con il personaggio e la città che incarna. Quella in corso è la stagione numero 25 da professionista per lui: sempre con la maglia della Roma sulle spalle. Lo sappiamo, Totti ha rifiutato offerte milionarie da grandi club italiani ed europei (era a un passo dal Real Madrid) per scegliere di restare nella Capitale. Per crescere i suoi tre figli sulle sponde del Tevere, per continuare a essere il marito di una conduttrice televisiva che, da romana un po’ coatta, ha scalato i vertici dei gusti del pubblico per imporsi in trasmissioni pensate da nordici per protagonisti nordici.
Totti è veramente l’ultimo Re di Roma perché non ha mai tradito. A costo di rimetterci in prima persona, come è successo in Nazionale dove molti allenatori gli hanno affidato il comando, ma dove lui ha preferito restare più romano che italiano. Perché è sempre rimasto nella sua città d’origine, addirittura nella parte più “popolare” della metropoli: quella Roma Sud – fra San Giovanni dov’è nato e cresciuto, Trigoria dove si allena, l’Axa e il Torino dove ha abitato e abita ora – che gli somiglia in pieno per una certa vicinanza alla quotidianità, alle relazioni umane, alle contaminazioni con ragazzi di qualunque provenienza sociale e geografica.
Il “pupone”, come lo chiamano affettuosamente i tifosi per impedirgli di crescere (e quindi di andarsene di casa), non può passeggiare per il centro di Roma come un cristiano qualunque, o come un Del Piero per Torino o un Gianni Rivera per Milano. Il traffico si bloccherebbe e non ci sarebbe vigile a decidere di rimettere le cose a posto. Totti però (e lo abbiamo visto di persona) quando è al bar sotto casa a fare colazione con cappuccino e cornetto, è osservato ma protetto, nessuno gli si avvicina come per dire “qui è casa tua, puoi stare tranquillo, sei uno di noi”.
Questo “sei uno di noi” è a nostro avviso la chiave del suo successo di campione mediatico. Totti non è un grande parlatore di fronte alle telecamere, fa la stessa figura che farebbe uno qualsiasi fermato per strada. Però ha ironia pronta, la stessa che hanno gran parte dei romani, sa sdrammatizzare e sorridere, sa difendersi e sottrarsi se si cerca di spostarlo in un terreno non suo. È un chiaro esempio di branding coerente, limitato rispetto ai Cristiano Ronaldo, ai Djokovic, ai Balotelli tutti social e parlantina sciolta.
Nella piramide del potere, che come coach ti invito ad approfondire grazie ai libri e alle attività di un “allenatore mentale” come Roberto Re, Totti ha scalato tutti i gradini per arrivare al vertice. Ha fame di risultati e di passioni, nonostante i 40 anni di età. Ha un livello di forza ed energia (grazie anche alla sua alimentazione equilibrata) ancora invidiabile. Ha una motivazione che non l’abbandona mai, nonostante sia ormai una riserva in panchina. Ha creato legami di affetto con milioni di persone, che lo tengono vivo e sempre responsabile. Ha pianificato, sebbene non lo dica mai apertamente, di giocare ancora fino al giorno in cui le gambe gli consentiranno di fare magie. Possiede il potere del “momentum”, che è la capacità dei grandi campioni di dare il massimo in poco tempo, facendosi trovare sempre pronto. E infine continua a vivere in un ambiente potenziante – quello della società, dei compagni, dei tecnici e dei massaggiatori – che ne esaltano le caratteristiche e in qualche modo lo costringono a tirar fuori sempre il meglio di sé.
Che dire? Totti è un esempio per coach e atleti. È un ex ragazzino, ancora ragazzo, che amava giocare con le automobiline della Polistil più che col Subbuteo. Preferiva la velocità e il senso di sfida, piuttosto che la staticità di omini di plastica colorati, appoggiati su un morbido panno verde, che non profumava di erba tagliata.