
L’infortunio di Cristiano Ronaldo ha deciso l’Europeo; non come la stragrande maggioranza delle persone ha immaginato quando ha visto il fuoriclasse del Real Madrid lasciare il campo in lacrime, e cioè con un facile trionfo dei “blues”, ma nel modo più inaspettato, con la vittoria del Portogallo.
Potere della mente. Quando Cristiano Ronaldo è uscito azzoppato da un’entrata balorda di Poyet, la Francia è passata dai favori del pronostico all’obbligo di vincere. Gran brutta cosa essere obbligati a vincere: se ci riesci hai soltanto fatto il tuo dovere; se non ce la fai sei sottoposto al pubblico ludibrio. Ne sanno qualcosa quei tennisti che si trovano a giocare contro un avversario fiaccato dai crampi; tutto dovrebbe essere facile, invece no, la racchetta inizia a pesare come un macigno, vogliono fare il punto dopo non più di due scambi e perdono lucidità e pazienza. In questi casi succede che nella loro mente l’idea del risultato prende il sopravvento sull’importanza del gesto tecnico, della prestazione. E’ quello che è accaduto ai giocatori francesi: invece di mantenere il focus sulla performance (la singola giocata, il “qui e ora”, la disciplina tattica, la pazienza di attendere il varco giusto), hanno spostato il focus sul risultato. Inizialmente si sono immaginati ad alzare la coppa davanti a tutta la Francia; poi, con il passare del tempo, è probabile abbiano iniziato a visualizzarsi cornuti e mazziati in mezzo al campo con i portoghesi attorno a fare festa.
Se i francesi sono stati disorientati e storditi dall’uscita di Cristiano Ronaldo (tra l’altro da quel momento fino alla sostituzione Poyet, forse per il senso di colpa, è stato un fantasma e ha costretto la sua squadra, di fatto, a giocare in dieci), i portoghesi sono entrati in stato di grazia incarnando alla perfezione il motto “tutti per uno, uno per tutti”. Massima comunità d’intenti, grinta straordinaria, senso del gruppo e ogni palla giocata come fosse la più importante della vita. Non solo, non dimentichiamo che le squadre i cui risultati dipendono prevalentemente da un fuoriclasse (è il caso del Portogallo di Cristiano Ronaldo ma anche del Galles di Bale o della Svezia di Ibrahimovic) possono estrarre dal cilindro prestazioni strabilianti quando sono private del loro giocatore migliore. I compagni, infatti, in assenza del fenomeno, vogliono dimostrare di essere capaci di vincere anche senza di lui (rispetto al quale nutrono sentimenti ambivalenti, ammirazione ma anche invidia) e sono spinti a esprimere il centoventi per cento delle loro potenzialità. Con il fuoriclasse in campo, la tendenza è quella di delegare; senza di lui ciascuno è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità. Pensate al gol decisivo di Eder a pochi minuti dalla fine; se ci fosse stato in campo Ronaldo, molto probabilmente lo avrebbe cercato per appoggiargliela il prima possibile. Invece Ronaldo non c’era ed Eder non ha esitato a scagliare la palla della gloria alle spalle di Lloris.
La vittoria del Portogallo è stata la vittoria della mente anche per altri motivi: Cristiano Ronaldo è l’esempio assoluto di come non basti il talento per arrivare a grandi traguardi ma siano necessari una disciplina feroce, la mentalità vincente e il quotidiano desiderio di migliorarsi. E cosa dire del portiere Rui Patricio? Ha sfornato un Europeo straordinario anche grazie al Kriya Yoga, una tecnica di meditazione fatta di esercizi per rafforzare l’equilibrio e respirazioni per trovare la tranquillità interiore. E per finire due parole sul match winner, Eder, che ha saputo entrare in campo con il piglio giusto spaccando la partita. Sapete qual è stata la prima persona che ha ringraziato dopo aver sollevato al cielo la coppa? Susanna, la sua mental coach, che lo ha aiutato a tenere duro nei momenti difficili e lo ha invitato a inseguire il suo sogno anche quando tutto sembrava perduto.