
I coach possono insegnare il rispetto per l’avversario? Secondo me DEVONO farlo. La cultura della considerazione e dell’empatia di chi ti sta di fronte in campo è fondamentale fin da ragazzi. È a quell’età che si imparano nel bene e nel male certi comportamenti. Ricordo di alcuni amici con i quali, in età scolastica, si giocava insieme a calcio, pallavolo o tennis. Le abitudini a fregare l’altro, a non rispettare le regole (anche quelle non scritte, legate più che altro al buon senso) si vedevano già nelle loro azioni da ragazzini livorosi. Un gesto agonistico può anche far male, ma una mancata stretta di mano o un’umiliazione di fronte al pubblico può diventare molto più desolante.
Si discute in queste ore di un caso simile, anche se a livelli di visibilità internazionale. Antonio Conte e José Mourinho – due coach molto plateali nei loro comportamenti – si sono affrontati lo scorso weekend in occasione di Chelsea-Manchester United. Sulla panchina casalinga del Chelsea da quest’anno siede l’ex CT della nazionale italiana Antonio Conte, i cui inizi di stagione sono stati abbastanza difficoltosi. Ospite allo Stamford Bridge era Mourinho con il suo Manchester titolato, tra i favoriti per la vittoria finale in Premier League. Il portoghese, che fra l’altro ha allenato per 7 stagioni (non consecutive) proprio il Chelsea – vincendo 3 “tituli” ma incamerando anche due esoneri – questa volta ha subìto una sonora sconfitta per opera dei Blues del rivale Conte: un quattro a zero che non ammette repliche.
Le repliche a fine gara invece ci sono state, e anche in favore di telecamera (sebbene Mou abbia parlato all’orecchio del suo avversario). In pratica Mourinho si è lamentato con Conte, reo di aver esultato a lungo, incitando il pubblico a più riprese anche a partita ampiamente decisa! Uno show che il tecnico del Manchester non ha gradito, al punto da scatenare una reazione stizzita: al fischio finale, il portoghese si è avvicinato all’italiano e gli ha sussurrato qualche parola nell’orecchio: “Non si esulta così sul 4-0, puoi farlo sull’1-0 altrimenti è un’umiliazione per noi”. Conte ha cercato di rispondere, ma Mou si è allontanato in fretta, aggiungendo solo un paio di parole per poi dirigersi negli spogliatoi.
In effetti la scena di Conte durante la partita assomigliava un po’ a certe immagini di gladiatori nell’arena, quando al Colosseo l’imperatore girava il pollice verso il basso per chiedere la morte di chi stava sotto. Per certi versi ci verrebbe da dare ragione a Mourinho: l’aiuto del pubblico si chiede quando sei in difficoltà, non quando stai già umiliando l’avversario. Il messaggio di Conte che è passato a tutto l’ambiente, e dunque anche ai giocatori – che ricordiamolo sono dei ragazzini un po’ cresciuti, e dunque ancora plasmabili sul tema “valori” e “identità” di atleti professionisti – è un messaggio più di rivalsa che di rispetto. Con quell’esultanza Conte ci ha comunicato che l’avversario non va solo battuto, va anche sottomesso, specie se si è nel proprio stadio.
Dicevamo che la reazione di Mourinho a fine partita poteva essere comprensibile: un qualsiasi coach al posto suo avrebbe il diritto a chiedere rispetto. Nel rugby addirittura la squadra sconfitta esce in mezzo a un tunnel di avversari che battono sinceramente le mani. Fa parte della cultura di ogni singolo sport. Va detto però che l’allenatore portoghese è forse uno dei pochi a non poter rivendicare comportamenti corretti: nella sua carriera di allenatore del Porto, dell’Inter, del Real Madrid e del Chelsea stesso, ci ha abituati a sceneggiate ben peggiori. Anche qui dunque vale più la coerenza nei gesti che mille parole dette a caldo.