Boxe

Tyson Fury ha messo KO la vecchia identità

By 27 Febbraio 2020Maggio 24th, 2022No Comments

Durante la carriera di un atleta (golfista, sciatore, tennista, nuotatore, ma in realtà in qualunque disciplina singola o di squadra) può capitare che emergano dei blocchi mentali non direttamente collegabili alla condizione fisica o alla preparazione atletica. Ci sono professionisti, sarà capitato anche a te, che a un certo momento rallentano la fluidità della prestazione. È come se qualcuno gli avesse fatto indossare una tuta di piombo che impedisce la naturalezza del gesto tecnico. E manda in tilt i collegamenti tra la mente e il proprio corpo.

Non è facile – a questo serve l’aiuto di un Mental Coach – riconoscere le cause di questi blocchi emotivi e fisici. Il punto è che in certi periodi del proprio percorso sportivo possono emergere delle zavorre collegate alla propria storia personale. È come se la tua identità si ricordasse di alcuni passaggi, più o meno traumatici, che hanno segnato la tua crescita come individuo e come atleta. Quel flash inconsapevole, quell’interruzione di schema non produttiva, si pone come schermo che impedisce a te stesso di vederti al meglio delle tue potenzialità.

Prendiamo dall’attualità un esempio estremo, di certo un po’ forte rispetto alle dinamiche che possiamo riscontrare normalmente tra gli atleti. Utilizziamo la storia di un pugile che per zavorra mentale aveva blocchi che lo hanno spinto fino alla droga e all’alcool, alla depressione e agli istinti suicidi. L’ho premesso: è una storia volutamente al limite se confrontata con le nostre abituali vite di atleti.

Conoscerai forse Tyson Fury, il pugile che qualche giorno fa a Las Vegas ha sconfitto il campione del mondo in carica dei pesi massimi, lo statunitense Deontay Wilder, con un match che nessuno fra gli addetti ai lavori aveva pronosticato. Un’impresa che arriva al termine di un periodo di quarantena durato qualche anno, nel quale Fury era sprofondato nel baratro emotivo. La sua carriera di boxeur sembrava definitivamente compromessa.

La storia di questo pugile inglese è costellata di genitori in carcere e di tutte le peggiori esperienze che si possono fare nella vita di un uomo (peggio ancora nella carriera di un professionista a quei livelli). Qui usiamo il suo esempio per spiegare che uno sportivo, quando riesce finalmente ad attingere alle sue risorse migliori, eliminando dalla mente la spazzatura che ha “sporcato” la sua identità, può tornare a essere sé stesso al meglio. Se uno come lui è arrivato a riprendersi la cintura di campione del mondo dei pesi massimi (persa senza combattere nel 2016 per colpa della tossicodipendenza), è segno che anche in situazioni che sembrano irrecuperabili si può lavorare nel modo giusto.

Torniamo a Fury. Suo padre John lo aveva chiamato così in onore di Mike Tyson, campione mondiale di quell’epoca. «Era nato 3 mesi prematuro – ha dichiarato lo stesso John – pesava 1 libbra (450 grammi), i dottori mi dissero che c’erano poche possibilità che vivesse». Lo chiamò Tyson in quanto dovette combattere per sopravvivere alla nascita prematura. Fury ha lasciato la scuola all’età di 11 anni per lavorare con i tre fratelli asfaltando strade. Nel frattempo aveva iniziato a fare boxe: suo padre lo ha allenato fino al 2011, anno in cui il genitore è finito in carcere per aver cavato un occhio a un parente per una faida di vecchia data. Fury però è cresciuto mantenendo il combattimento all’interno del ring, senza mai avere problemi con la legge.

Ecco il lavoro che può fare un mental coach. Spiega Lorenzo Marconi, amministratore di Sport Power Mind e mental coach di atleti di diverse discipline sportive: «Da un lato si cambiano atteggiamenti e pensieri improduttivi , individuando convinzioni profonde negative legate all’identità, alle regole, spesso troppo rigide e depotenzianti. Questo permette di riportare l’atleta a entrare nel giusto flusso e a sentirsi nel pieno delle sue potenzialità, consentendogli di sganciare quelle zavorre – qualunque esse siano – creando credenze potenzianti e un dialogo interno fluido e costruttivo. Il fatto di generare stati d’animo positivi, e quindi comportamenti virtuosi, permettere di ottenere gesti tecnici e prestazioni vincenti».

Tyson, da qualche parte, aveva dentro di sé dei valori sani, che lo hanno aiutato a distinguersi dal suo ambiente e gli hanno consentito di sopravvivere nei momenti più duri della sua vita. Ha dovuto ripescare quelli, magari integrandoli con altri nuovi, per ridare una forma compatta alla sua identità di uomo prima che di pugile.

«Tyson – continua Marconi – ha cambiato tecnico, ha modificato i metodi di allenamento. Ma soprattutto ha lavorato duro sulle credenze legate all’identità, ha migliorato l’ambiente circostante, le persone di riferimento, creando benessere e stabilità emotiva intorno a sé, elementi che gli hanno consentito di gestire il match al meglio e a portare a termine un’impresa come quella realizzata l’altra sera a Las Vegas. Grazie a questo anche interferenze negative e provocazioni possono assumere contorni positivi: nei giorni precedenti al match, Wilder aveva definito Fury “un pugile vecchio e grasso che non sapeva tirare pugni”. La differenza atletica tra i due pugili è notevole: fisico allenato e statuario quello di Wilder, enorme e sgraziato quello di Fury, più giovane di tre anni e ancora lontano dal peso forma (nonostante sia dimagrito di circa cinquanta chili in due anni). In certi casi le parole di un avversario innescano pensieri e stati d’animo che possono spingere un atleta a comportamenti produttivi rispetto al risultato da raggiungere».

Dopo aver confermato a sé stesso di essere tornato quello di un tempo, il pugile originario di Manchester, soprannominato “il re degli zingari” per via delle sue origini, potrebbe ora sfidare l’attuale campione mondiale IBF, WBA, WBO e IBO Anthony Joshua, inglese di Watford, in un incontro già definito l’evento sportivo più importante di sempre in Inghilterra dopo la vittoria dei Mondiali di calcio del 1966.

«Fury combatte per dimostrare che ci si può rialzare sempre nella vita» ha scritto Stefano Arcobelli sulla Gazzetta dello Sport. «In passato, mi svegliavo ogni giorno col desiderio di non svegliarmi più – ha spiegato dopo il match Fury – Sono la prova vivente, però, che chiunque può rialzarsi dal precipizio».

Alessandro Dattilo

Alessandro Dattilo

Giornalista, storyteller, blogger, formatore, ghostwriter. Aiuta aziende e professionisti a raccontare la loro storia, a trasferirla sul web, a farla diventare un libro. Tiene seminari su Brand Journalism e Scrittura Efficace per il Business. Oggi è Senior Content Manager per Roberto Re Leadership School e Stand Out – The Personal Branding Company e docente del programma HRD – Da Manager a Leader. Fondatore di TorinoStorytelling e RomaStorytelling, ha scritto e parlato per quotidiani nazionali, network radiofonici e tv locali. Sul web ha lavorato come consulente editoriale e content manager per il Gruppo Enel, Ferrovie dello Stato, Treccani, Ferpi, Fastweb, Reale Mutua, Comin & Partners e molti altri. Per Mondadori ha pubblicato nel 2014 il libro "Scrittura Vincente", una guida pratica su come usare la parola scritta per raggiungere più facilmente i propri obiettivi in campo aziendale, commerciale, professionale.

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