Senza giri di parole, uno che eredita una squadra al nono posto e la porta ai vertici del campionato, con 23 gare di fila senza sconfitte, è un leader senza “se” e senza “ma”. Per respirare un po’ del carisma di Gianmarco Pozzecco – attuale allenatore della Dinamo Sassari – basta guardare un video dell’allenamento, dove il Poz sfida i suoi giocatori nei tiri dalla lunga distanza. E dimostra di essere ancora un campione dalla “mano calda”. Che gli dici a uno così?
Oggi i riflettori sono per lui, l’ex playmaker della Nazionale, soprannominato “Mosca Atomica” per il metro e ottanta di statura in un mondo di giganti. La sua squadra ieri ha conquistato la finale scudetto battendo in “gara-3” i campioni d’Italia dell’Armani Milano per 108-96, dopo un supplementare. “Quando sono arrivato a Sassari – spiega – ho detto ai miei ragazzi che non potevamo più permetterci di perdere. Sono tre mesi che non possiamo perdere e sono tre mesi che non perdiamo…“. Elementare Watson.
Ma l’impresa nasce dalla capacità di trasformare ottimi giocatori in un corpo unico, in una squadra che si sente squadra e non si perde in individualismi. Tutto il contrario degli attuali campioni d’Italia dell’Armani, un gruppo dove ognuno gioca per sé. E dove, nonostante abbondino stelle e talenti, la NON unione NON fa la forza.
Una squadra sfibrata – quella allenata da Simone Pianigiani – slegata, anemica e scollata. La fotografia è nel tiro da 9 metri (un gesto senza senso), sparato dal suo miglior giocatore, Mike James, a pochi secondi dalla fine dei 40 minuti in gara-3 sull’89 pari. Una criticità mentale, dunque, quella che ha bloccato la squadra favorita, incapace di passarsi la palla e in evidente crisi di idee e di tenuta nervosa.
Tutt’altra aria si respirava guardando giocare i ragazzi di Pozzecco. Sentite cosa dice Marco Belinelli, guardia dei San Antonio Spurs, l’unico italiano nella storia a essere riuscito nell’impresa di vincere l’anello di campione NBA: “Pozzecco ha portato tantissima energia a Sassari, che vedo favorita per la vittoria. Sono molto contento per Poz, abbiamo passato stagioni stupende insieme alla Fortitudo Bologna, è un ragazzo sempre positivo. Sassari ha meno talento rispetto a Milano, ma gioca una pallacanestro di squadra e si conoscono bene tutti sul campo“.
Del tecnico friulano si diceva che era troppo “testa calda” per poter vincere ad alti livelli. Chi lo considerava un talento sciupato, chi un genio, chi un pazzo scatenato. Uno al quale non si addicono le mezze misure. Perché il “Poz” può essere amato o odiato, apprezzato o disprezzato; anche per questo è un simbolo indiscutibile del basket made in Italy.
In queste ore la sua rivincita si sta consumando. Lui cerca di mantenere la calma, anche se dentro è un vulcano. Usa il linguaggio senza esagerare (“per la finale partiamo non sfavoriti“), crea il clima giusto grazie alle sue doti umane, rialza dalla depressione un gruppo in crisi di risultati. In una parola, porta entusiasmo. Oltre che spunti tattici interessanti.
I numeri lo dicono: Stefano Gentile non aveva mai giocato a questi livelli, né Rashawn Thomas (20 punti e oltre 11 rimbalzi di media in semifinale) aveva sfoderato prestazioni memorabili nei primi mesi di campionato. Ma non è nei singoli che di volta in volta si caricano la squadra sulle spalle (vedi Jaime Smith in gara-3 contro Milano, 29 punti) che va ricercato il successo. Quanto nella capacità del collettivo – lo ha spiegato Achille Polonara, ala della Dinamo, dopo il secondo successo al Forum – di far partire il proprio gioco dalla difesa con energia, sfruttando centimetri e chili, che nel gruppo non mancano.
E sul più bello, da vero mental coach, resta con i piedi per terra. “Non abbiamo vinto niente, ma queste gare contro Milano sono una cosa epica che rimarrà nella storia, al di là di come andrà la finale“. Per finire, con una concessione meritata alla squadra: “Spero che i miei ragazzi tornino a casa non prima delle otto di domattina e vadano a divertirsi… Se lo meritano!“.